L’art. 1, comma 36, Legge n. 76/2016 definisce la convivenza di fatto come la condizione di “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile“.
Il successivo comma 37 per l’accertamento della stabile convivenza richiama l’art. 4 e l’art. 13 co. 1 lett. b) del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, recante il “Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”:
la convivenza rilevante ai fini delle osservazioni che seguono è dunque quella “dichiarata” ovvero quella che risulta da relativa dichiarazione anagrafica.
Del tutto sprovvista di tutela la convivenza di fatto non registrata, anche, e soprattutto, dal punto di vista successorio.
Ai fini della registrazione della convivenza, la relativa dichiarazione anagrafica, contenente le sottoscrizioni di entrambi, è presentata, assieme alle copie dei documenti di riconoscimento, al relativo ufficio del Comune del luogo ove la coppia risiede, anche da uno solo dei conviventi.
Detta dichiarazione costituisce, infatti, un mero atto giuridico avente natura dichiarativa di un fatto (la convivenza) che già esiste.
In conseguenza della formalizzazione della convivenza ai conviventi (etero o omosessuali) è permesso:
Durante il rapporto di convivenza:
- stipulare un contratto di convivenza, con sottoscrizioni autenticate da un Avvocato o, se concernente diritti su beni immobili, da un Notaio. Detto contratto permette alla coppia di regolare i relativi rapporti patrimoniali, disciplinando ex contratto un obbligo che per il matrimonio deriva dalla legge, ma anche con modalità e proporzioni differenti dai criteri legislativamente previsti per i coniugi, ed è soggetto ad iscrizione nel registro anagrafico (sic!) ai fini di opponibilità (sic!) ai terzi. I conviventi posso anche optare per il regime di comunione degli acquisti (che non è il regime di “default” come per i soggetti coniugati). Non è invece per gli stessi possibile costituire un fondo patrimoniale a vantaggio della loro famiglia. Gli obblighi di contribuzione (es. mantenimento, lavoro domestico, messa a disposizione di un immobile) previsti nel contratto di convivenza possono essere soggetti alla condizione risolutiva dello scioglimento del rapporto di fatto in quanto a ciò non osta il divieto, espressamente previsto da detta legge, di sottoporre il contratto di convivenza a termine e condizioni: l’interpretazione offerta dalla Dottrina è in chiave restrittiva e, dunque, nel senso che è il contratto nel suo complesso a non poter essere soggetto ad elementi accidentali e non le singole attribuzioni ivi contenute. Importante, inoltre, al riguardo sottolineare che dal contratto di convivenza ciascuno degli stipulanti può recedere anche unilateralmente (salvo – si ritiene – vi abbia rinunciato) mediante atto scritto da notificarsi all’altra parte e da iscrivere nei registri anagrafici. Può essere prevista una penale per l’ipotesi di recesso unilaterale. Il contratto è comunque risolto per matrimonio con il convivente o con terzi (anche in tal caso occorre compiere la formalità anagrafica).
- di far visita al compagno in caso di malattia o ricovero ed accedere alle informazioni personali, alla stessa stregua del coniuge;
- di designare, con scrittura olografa o in presenza di un testimone, l’altro convivente quale proprio rappresentante al fine di assumere decisioni in materia di salute, nel caso di sopraggiunta incapacità d’intendere e di volere, anche parziale, nominandolo, se del caso, anche proprio tutore, curatore o amministratore di sostegno, come anche e solo al fine di prendere decisioni in materia di donazioni di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funerarie;
- di partecipare agli utili ed incrementi dell’impresa familiare del convivente alla quale collabori;
- di beneficiare degli alimenti, in caso di impossibilità a mantenersi autonomamente, alla fine della convivenza.
In caso di morte del convivente, il superstite non è un erede legittimo né, tantomeno, un legittimario, ma ha unicamente diritto:
- di continuare ad abitare la casa di proprietà del convivente per un periodo di 2 anni dalla morte (3 se con figli minorenni) o per un periodo almeno pari a quello della convivenza (dalla dichiarazione anagrafica) ma non superiore ai 5 anni (si ritiene sia un legato ex lege a durata variabile). Il diritto di abitazione cessa nel caso in cui il convivente superstite cambi residenza, contragga matrimonio od unione civile, ovvero intraprenda una nuova convivenza di fatto;
- di ricevere il risarcimento del danno nel caso in cui l’altro convivente muoia per una causa derivante da fatto illecito compiuto da terzi ex articolo 2043 del Codice civile;
- di succedere al convivente premorto nel contratto di locazione della casa adibita a comune residenza da quest’ultimo stipulato.
Chiara dunque l’esigenza di tutelare il convivente mediante la redazione di una scheda testamentaria che lo istituisca erede o legatario.
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