I legittimari sono i soggetti ai quali la legge riserva una quota di eredità anche contro quella che è la volontà del soggetto defunto.
Questi sono i figli, il coniuge (anche legalmente separato) ed i genitori/ascendenti (se non vi sono figli).
A tali soggetti è riservata dalla legge una quota astratta determinata dalla legge come segue:

Un soggetto non può quindi fare in modo che un suo legittimario non riceva alcunché al momento dell’apertura della sua successione (naturalmente se al momento della sua morte ha dei beni o diritti di valore attivo), in quanto:
- tradizionalmente non è ammessa la diseredazione espressa del legittimario (una eventuale disposizione testamentaria avente quale scopo quello di escludere un legittimario sarebbe da considerarsi nulla) e, anche aderendo al recente orientamento per il quale la diseredazione è possibile, mai il legittimario potrebbe comunque essere privato dell’azione di riduzione. ;
- nel caso in cui abbia disposto di tutti i suoi beni con atto fra vivi se gli atti compiuti in favore di terzi o di altri legittimari siano donazioni (dirette o indirette), tali atti potranno essere dichiari come inefficaci nei confronti del legittimario che sia stato leso (intendendosi tale quello che non è stato beneficiato – con tali atti o con testamento – in misura tale da conseguire un valore almeno pari alla quota sopra indicata) attraverso l’azione di riduzione.
E’ comunque valido ed efficace il testamento che non contempli (pretermetta) detti soggetti (legittimari o eredi necessari): se ve ne saranno i presupposti le relative disposizioni potranno essere dichiarate inefficaci nei confronti di questi ultimi, ma solo a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione e sempre che gli eredi istituiti o, comunque, i beneficiari delle attribuzioni patrimoniali lesive della “legittima” non si accordino con il soggetto leso in via negoziale.
Abbiamo già visto i presupposti per l’esercizio dell’azione di riduzione che è, appunto, lo strumento per tutelare il legittimario dalla lesione patrimoniale perpetuata nei suoi confronti.
Lesione che diviene attuale solo al momento dell’apertura della successione:
prima della morte del soggetto (es. padre) il relativo legittimario (es. figlio) non vanta alcun diritto o aspettativa sul patrimonio del primo se non l’opposizione alla donazione che questi faccia ad altri.
Per gli effetti dell’opposizione si veda il relativo articolo, avvertendosi subito che la stessa non inficia assolutamente la validità o l’efficacia dell’atto che si ritiene potenzialmente pregiudizievole, ma ha solo l’effetto di sospendere il termine ventennale (che decorre dalla trascrizione dell’atto medesimo) dopo il quale non è più esercitabile l’azione di restituzione (ferma l’azione di riduzione).
Il sistema di tutele dei legittimari può dirsi quanto più possibile perfetto:
prescindendo da valutazioni di politica legislativa (se sia giusto o meno non assecondare la volontà di un genitore o di un coniuge, magari legalmente separato, che non vuole niente lasciare rispettivamente ad un figlio che l’ha deluso o ad un coniuge che l’ha tradito), l’assetto attuale del codice civile prevede – proprio attraverso la c.d. “successione necessaria” – che i soggetti legati al de cuius da particolari legami di parentela o coniugio siano comunque tutelati ed in maniera più forte di quanto forse si possa comunemente pensare.
L’intesità della tutela discende dal particolare meccanismo previsto dalla legge per il calcolo delle quote di riserva sopra indicate:
la frazione patrimoniale riservata (di cui alla tabella sopra) va infatti rapportata al patrimonio “riunito” ovvero al risultato che si ottiene aggiungendo al valore dei beni e diritti lasciati dal defunto (valore degli immobili al momento dell’apertura della successione, saldo attivo del conto corrente, titoli di stato, azioni ecc.) a quello delle donazioni (dirette, indirette, simulate) effettuate in vita dal medesimo e sottraendo i debiti ereditari (saldo negativo conto corrente, debiti comunque riferibili al defunto).
Si faccia il seguente esempio:
un soggetto X, vedovo, lascia due figli A e B.
Alla sua morte è proprietario unicamente di due case del valore di Euro 135.000,00 ciascuna ed ha debiti per complessivi Euro 20.000,00.
La successione è regolata da testamento con il quale istituisce erede il solo figlio A, diseredando o pretermettendo totalmente (non contemplando nel testamento) B.
Durante la sua vita mister X ha fatto donazioni alla sua amante per Euro 50.000,00.
A è tutto contento perchè pensa che gli spettino le due case e accetta di buon grado di pagare i debiti (che ricadono sull’erede) felice di essere stato il preferito del genitore.
Ma B è come lui un legittimario e ha comunque diritto alla quota di riserva che, in tal caso, è di 1/3.
Ma questa quota quanto vale in questo caso?
Dobbiamo fare l’operazione matematica di riunione fittizia e precisamente:
270.000,00 (RELICTUM: il valore dei beni lasciati) + 50.000,00 (DONATUM: il valore delle donazioni) – 20.000,00 (debiti) = Euro 300.000,00
Allora il valore della quota che deve spettare a B è Euro 100.000,00 (ovvero 1/3 di 300.000).
Allora B procederà a far fare l’inventario dell’eredità (condizione per agire in riduzione) e se non riuscirà ad arrivare ad un accordo con il fratello, agirà in riduzione.
Ma quanto gli verrà riconosciuto in questo caso?
Abbiamo detto che ha diritto ad un valore di Euro 100.000,00 quindi sull’eredità non avrà 1/3 (che è la quota di legittima) ma 2/5.
L’eredità non comprende infatti le donazioni già effettuate che sono invece considerate ai fini del calcolo della quota di legittima (dalla riunione fittizia). Così se il valore dei beni lasciati al netto dei debiti è 250.000 e B ha diritto a 100.000 allora B avrà non 1/3 della proprietà delle case cadute in successione ma 2/5 degli stessi immobili (100.000 sono i 2/5 di 250.000).
E’ necessario infatti fare il passaggio dalla quota di riserva/legittima (quella stabilita dalla legge) alla quota di eredità (quella che concretamente spetta sui beni relitti).
Per arrivare alla quantificazione di quest’ultima dobbiamo seguire la seguente formula:

Dunque:
(270.000 – 20.000 + 50.000 = 300.000) diviso (270.000-20.000 =250.000) moltiplicato per 1/3 = 6/5 x 1/3 = 6/15 che è 2/5 ossia la Quota di EREDITA’.
Pertanto:
B avrà diritto ad una quota pari a 2/5 della piena proprietà della piena proprietà delle due abitazioni mentre al fratello A (istituito unico erede!) spetterà la residua quota di 3/5.
Ma v’è di più: i debiti ereditari faranno carico solamente a A che è appunto l’erede.
B anche agendo in riduzione, secondo la tesi di Ferri, non acquisterà la qualità di erede ma otterrà un valore netto corrispondente appunto alla legittima (o quota di riserva) che nel nostro caso vale Euro 100.000,00 e corrisponde ai 2/5 dell’eredità.
Seguendo la medesima tesi poi se nello stesso testamento X avesse disposto anche dei legati (ad es. per Euro 40.000,00) si crede che niente cambi rispetto al calcolo precedentemente effettuato.
I legati, infatti, salvo diversa disposizione testamentaria (es. nel caso del sublegato) gravano sull’eredità ed il legittimario, per coerenza con quanto prima detto, non ne risponde in quanto non è (e non diventa – almeno in questo è rispettata la volontà del testatore) erede.
(Si deve dar conto che a tal proposito esistono opinioni di diverso avviso per le quali, ai fini del calcolo della quota di eredità, anche il valore dei legati andrebbe detratto dal relictum al denominatore: il risultato allora in questo caso darebbe 300.000/210.000 = 10/7 x la quota di legittima (1/3) = 10/21 gravando poi il legato proporzionalmente anche su B).
Per completezza si fa presente che se il de cuius ha effettuato donazioni in favore di figli, loro discendenti e coniuge senza dispensarli dalla collazione, allora il relictum al denominatore andrà aumentato del valore della donazione stessa. QUESTA PIU’ CHE QUOTA DI EREDITA’ E’ QUOTA DI COMUNIONE EREDITARIA, OVVERO LA QUOTA DA APPORZIONARE IN SEDE DI DIVISIONE.
Ecco allora che sarà A a doversi preoccupare ora di non essere lui stesso leso: egli è istituito erede per l’intero 1/1, ha per legge diritto alla medesima quota minima di 1/3 (ovvero Euro 100.000,00 essendo uguale a quella del fratello) e, in conseguenza dell’azione di riduzione esperita da B, ha una quota di eredità di 3/5 (ovvero Euro 170.000,00). Deve farsi carico però, in quanto erede, dei debiti e dei legati (che nel caso di specie valgono complessivamente 60.000,00 euro) e, dunque (170.000,00 – 60.000,00= 110.000,00) pur non risultando leso alla fine, sarà meno “contento” perchè riceverà un valore di soli Euro 10.000,00 in più del fratello.
Ecco la forza dell’azione di riduzione e dei rimedi a favore dei legittimari.
Forza che può apparire ancora più evidente nel caso in cui ad essere pretermesso o leso sia il coniuge del de cuius, soprattutto in ipotesi nelle quali l’unico bene caduto in successione sia la casa adibita a residenza familiare sulla quale il coniuge medesimo vanterà il diritto di abitazione di cui all’art. 549 c.c. oltre al diritto di uso dei mobili che la corredano .
Biongiorno! Ho un esperienza come attore in una azione di riduzione di donazione ! Non sto ad andare nei dettagli Durata della causa di 1 grado 12 anni poi passata la sentenza in giudicato anni 1 totale durata 13 anni Purtroppo questo e’ il grande problema quando non esiste un barlume di accordo tra eredi .Le leggi e le procedure esistono manca la durata ragionevole dei processi civili.
Articolo chiarissimo grazie.
Salve ma questa formula del mangone e del ferri non si usano però nei giudizi? I debiti si calcolano solamente una volta sola ovvero dal relictum meno debiti più donatum senza ritorglierli anche dopo?
Salve… si “dovrebbe” usare (lo stesso risultato- che è quello giusto – si può raggiungere anche con calcoli diversi, se pur più macchinosi.. i debiti si calcolano una volta, certo.