Sempre maggiormente sentita appare la necessità di “disfarsi” di un bene o della quota di proprietà dello stesso. Le ragioni della detta esigenza dipendono da oneri tributari eccessivi, spese di manutenzione, divergenze nella gestione degli immobili in comunione, volontà di godere delle agevolazione prima casa per l’acquisto di altro bene nello stesso Comune.
La soluzione astrattamente possibile parte dal cercare un accordo con gli altri comproprietari, così da poter cedere loro, a titolo oneroso o gratuito – anche se non liberale (c.d. rinuncia traslativa) – la rispettiva quota di spettanza. O, certamente, se proprietari esclusivi, cercare un acquirente del bene medesimo. Ma, quando quanto augurato – rinuncia traslativa, donazione o vendita – non sia possibile, esiste un modo per non essere più “schiavi” di un cespite che non più si desidera possedere?
Oltre a quanto sopra vi è da considerare che “piegare” una causa puramente dismissiva in liberale esporrebbe il soggetto comproprietario – che vede accrescere la sua quota di partecipazione – anche a tutte le conseguenze sulla circolazione di quanto acquistato a titolo donativo mentre simulare una vendita pare ancora più difficile per il disposto della c.d. “Legge Bersani” che impone di indicare nell’atto di trasferimento, fra l’altro, le modalità di pagamento del corrispettivo (che in questo caso non ci sarebbe).
LA RINUNCIA ABDICATIVA
La rinuncia è facoltà insita in ciascun diritto, rappresentando la massima espressione del diritto di disposizione. Essa costituisce la semplice dismissione del diritto o situazione giuridica di cui si è titolare, senza che si verifichi alcun trasferimento della stessa a favore di altri. L’ammissibilità della figura non è messa in dubbio dalle norme sia codicistiche (artt. 1350 n. 5 c.c. – che richiede la forma scritta per gli atti di rinuncia relativi a diritti immobiliari – e 2643 n. 5 c.c. – che ne dispone la trascrizione) che fiscali (d.P.R. 131/1986 e D.Lgs. 347/1990); norme che anzi la presuppongono.
Non vi è però un espresso riconoscimento della figura, come invece per le ipotesi di rinunzia liberatoria di cui agli artt. 882 c.c. (in tema di riparazione del muro comune) e 1104 c.c. (sulle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune), disciplinate al fine di raggiungere l’ulteriore effetto di liberare il rinunciante dalle obbligazioni propter rem anche precedenti all’atto dismissivo.
Quanto alla rinuncia abdicativa alla proprietà esclusiva (quando si è unici proprietari di un bene), lo stesso art. 827 c.c. regola poi la vacanza di proprietà dell’immobile statuendo che i beni che non sono di proprietà di alcuno non sono, come i beni mobili, suscettibili di occupazione ma appartengono allo Stato. E tale vacanza per gli immobili non può che derivare dall’atto dismissivo in analisi. Ma se da detto atto deriva la vacanza di proprietà allora dallo stesso non può derivare un acquisto: l’acquisto da parte dello Stato non sarà, infatti, a titolo derivativo ma originario.
Detto atto di rinuncia è – secondo la maggiore Dottrina – atto “puro” o “nudo patto” (la cui causa si individua nella semplice dismissione del diritto) unilaterale e non recettizio: per la sua efficacia non deve essere portato a conoscenza di alcuno, nemmeno di chi, per conseguenza indiretta vede mutare la propria sfera giuridica o patrimonio (e, dunque, il comproprietario o lo Stato).
Ne deriva che gli effetti del medesimo sono immediati e irrinunciabili nei confronti di detti terzi anche se assolutamente ignari dell’atto compiuto. Detta ultima circostanza induce, per “rispetto dei principi di leale collaborazione e di buona fede in senso oggettivo” di dare comunicazione al Demanio dell’atto dismissivo (o, se possibile, ai comproprietari che vedranno accresciuta la loro quota di partecipazione). Tale adempimento – non richiesto ai fini di efficacia della rinuncia – è fatto derivare da una caratterizzazione solidaristica e costituzionalmente orientata del diritto di proprietà, da un recente Parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, relativo alla possibilità di rinunciare alla proprietà su un immobile a rischio di dissesto idrogeologico. In tale ottica, si spiega, che l’atto di rinuncia potrebbe essere dichiarato nullo se compiuto al solo fine – illecito – di fare ricadere sulla comunità le spese di ripristino con messa in sicurezza o i danni procurati dal bene immobile del quale si è dismesso la proprietà.
Ma, a ben vedere, qui pare che, per arrivare a “scomodare” il concetto di causa dell’atto di rinuncia, che, per la maggior dottrina non è nemmeno aderente alla figura in esame, basterebbe mantenere ferma la distinzione fra rinuncia abdicativa – che libera per il futuro – e rinuncia liberatoria – che ha efficacia ex tunc.
Solo quest’ultima, infatti, comporta la liberazione dalle spese pregresse e, pertanto, è recettizia.
La rinuncia abdicativa comporta liberazione solo per le spese successive al compimento della medesima.
Tra le spese delle quale il già proprietario, rinunciante, non si può liberare, vi sono quelle relative alla staticità del bene secondo la diligenza ordinaria. Si rientrerebbe, dunque, nella causalità degli eventi più che nella nullità della causa.
Ferme le ipotesi limite classificate “in frode alla legge” o come “abuso del diritto”, la rinuncia abdicativa trova pieno riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico quale esplicazione dell’autonomia privata.
LA TRASCRIZIONE
DELLA RINUNCIA ALLA PROPRIETA’ ESCLUSIVA
- Prima tesi
si trascrive «contro» il rinunciante e «a favore» del «Demanio dello Stato» con sede in Roma, c.f. 80207790587 (prassi più comoda, perché ne consegue la voltura automatica)
- Seconda tesi (preferibile)
si trascrive solo «contro» il rinunciante e a favore di nessuno (in dipendenza della considerazione che la rinuncia ha un effetto puramente abdicativo e che l’acquisto dello Stato è un acquisto a titolo originario, il quale costituisce una mera conseguenza della rinuncia)
In altri termini, la trascrizione non è disposta per ragioni di opponibilità ai terzi dell’acquisto dello Stato, ma per ragioni di opponibilità ai terzi della dismissione del diritto da parte del rinunciante.
Della rinuncia alla quota di comproprieta’
E’ opinione pacifica che il diritto del comproprietario è un diritto sul tutto, compresso dalla presenza degli altri comproprietari. Se viene meno una quota, le quote degli altri si espandono, per il principio di elasticità del dominio. In altri termini, la quota rinunciata non è acquisita dallo Stato, ma comporta il ricalcolo della quota degli altri proprietari delle stesso bene.
L’accrescimento delle quote degli altri comproprietari è un effetto solo mediato ed indiretto dell’atto di rinuncia, non verificandosi, a seguito della rinuncia, alcun effetto traslativo.
Si ritiene, inoltre, che detto effetto, oltre che automatico ed indiretto, sia anche inevitabile per i comproprietari che lo “subiscono”, anche in considerazione del fatto che chi acquista una quota in comune, acquista un diritto in possibile «evoluzione».
Pensare che gli altri comproprietari possano opporsi all’accrescimento delle loro quote (e pretendere che la quota rinunciata vada allo Stato), sarebbe come dire che un nudo proprietario possa respingere l’espansione della nuda proprietà in caso di estinzione dell’usufrutto. Riguardo a quest’ultimo diritto, anche questo chiaramente rinunciabile, occorre chiarire (in base all’analisi del titolo costitutivo dello stesso) se l’usufrutto sia il c.d. “cousufrutto” (nel qual caso la rinuncia andrebbe a “beneficio” del nudo proprietario: si avrebbe un’ipotesi di “comunione di godimento”) oppure se l’usufrutto sia congiuntivo (nel qual caso della rinuncia beneficierebbe l’altro usufruttuario, realizzandosi un’ipotesi di accrescimento per atto inter vivos).
LA VOLTURA
Quanto alla voltura catastale, si può senz’altro effettuare una voltura togliendo il rinunciante dall’intestazione catastale e accrescendo le quote degli altri comproprietari; operare con una voltura cartacea ove, nel quadro A, si indica solo il rinunciante con la specificazione «intestazione da eliminare per rinuncia», lasciando intatte le quote degli altri comproprietari.
L’ipotesi di comproprietari irreperibili
Può capitare, soprattutto in territori montani, che un immobile a seguito di vicende successorie venga a competere a soggetti che, non solo non lo gestiscono, prendendo le relative scelte secondo le regole dettate per l’amministrazione delle cose in comunione, ma nemmeno si conoscono o sono attualmente irreperibili (es. emigrati all’estero).
In tali casi, senza che vi siano gli estremi per un acquisto a titolo originario della proprietà esclusiva, uno dei comproprietari può appunto discrezionalmente ed irrevocabilmente scegliere di non partecipare alla comunione, rinunciando alla propria quota. La spiegata natura della rinuncia abdicativa, quale atto unilaterale non recettizio, infatti, non solo non richiede la partecipazione di tutti i comproprietari all’atto dismissivo ma nemmeno richiederebbe una comunicazione del medesimo (requisito che altrimenti renderebbe impraticabile detta rinuncia in ipotesi di irreperibilità).
Oltre a questo aspetto vi è ulteriormente da tener presente che l’art. 29 comma 1 bis della Legge n. 52/1985 richiede, fra l’altro, che “Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari” quando i “predetti atti” sono quelli che hanno ad oggetto “il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti”: ribadendosi che in caso di rinuncia abdicativa non si verifica alcun trasferimento ne consegue che il notaio rogante non sarebbe nemmeno tenuto ad effettuare il c.d. “allineamento” con tutte le facilitazioni conseguenti soprattutto per le ipotesi delle quali ora si tratta.
Inoltre si è correttamente ritenuto che l’atto dismissivo della comproprietà di un bene ereditario ha efficacia immediata e non è nullo né per mancanza di causa donativa (che in questo caso proprio manca, e “l’impoverimento” del disponente è voluto ed attuale) né per violazione dell’art. 771 c.c. (non si tratta, infatti, di donazione ma di rinuncia). In tale caso l’effetto che consegue alla rinuncia è un effetto latamente divisorio: le quote dei coeredi su quel bene si accrescono irrevocabilmente ed immediatamente in conseguenza dell’atto e non vi è alcuna condizione a subordinare l’efficacia dell’atto (come accadrebbe nel caso di trasferimento a terzi del medesimo cespite da parte del coerede). Non vi è alcuna incertezza sull’esito divisionale ma anzi si realizza immediatamente un atto divisionale.
Quanto sopra (rinuncia “divisoria”) vale con riferimento all’ipotesi di comunione ereditaria su un unico cespite ereditario, mentre per la rinuncia avente ad oggetto la quota di comproprietà su di un cespite facente parte di una più ampia massa ereditaria rilevano ulteriori riflessioni dovute all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’atto traslativo a titolo oneroso avente ad oggetto una quota di proprietà di un singolo bene facente parte di una eredità non potrebbe avere efficacia immediata, in quanto sarebbe sottoposto necessariamente alla condizione sospensiva della assegnazione in sede di divisione di quel bene al coerede trasferente (Cassazione, ordinanza 23 febbraio 2018 n. 4428; Cassazione civile sez. II 23 aprile 2013 n. 9801; Cassazione civile sez. III 01 luglio 2002 n. 9543; Cassazione civile sez. II 29 novembre 1996 n. 10629) come alla nota sentenza Cassazione, 15 marzo 2016, n. 5068, sez. unite civili, che ha sancito la nullità della donazione di quota di bene in comunione ereditaria, riflessioni che richiedono apposita trattazione.
La rinuncia alla quota di comproprietà su uno solo dei beni facenti parte di una più ampia massa ereditaria
In questa particolare ipotesi occorre fare ulteriori riflessioni a causa della particolare natura della comunione ereditaria e della quota di comproprietà di ciascun erede sui singoli beni costituenti la massa.
Si rinvia pertanto al nostro approfondimento, già qui avvertente che a nostro avviso la detta rinuncia è pur sempre ammissibile ed ha un effetto sostanzialmente divisorio, sia pure parziale, nel seguente significato:
A mezzo quest’atto, il coerede rinuncia irrevocabilmente ed immediatamente alla quota di comproprietà su un unico bene con effetti divisori, che si producono proprio perché l’atto non comporta pregiudizio o modificazioni in peius alla sfera giuridica degli atri partecipanti alla comunione.
LA TASSAZIONE DELLA RINUNCIA ABDICATIVA
Secondo l’orientamento costante le imposte da corrispondersi in ipotesi di rinuncia abdicativa (puramente dismissiva del diritto di cui si è titolari) sono le seguenti:
- RINUNCIA ALLA QUOTA DI COMPROPRIETA’ O A DIRITTO REALE DI GODIMENTO (es. usufrutto)
Sconta l’Imposta sui trasferimenti a titolo gratuito (Art. 1, n. 2, D.Lgs. 31.10.1990, n. 346) pertanto:
- se il comproprietario (o nudo proprietario) è figlio o genitore del rinunciante, l’atto sarà soggetto all’aliquota del 4% per l’importo che eccede la franchigia di 1.000.000 euro (ora se è improbabile che si rinunzi ad un diritto di tale valore si deve comunque tenere conto che il valore della rinuncia va a sommarsi a quello di eventuali atti donativi precedentemente fatti a favore del medesimo soggetto ai fini del calcolo della franchigia;
- se il comproprietario (o nudo proprietario) è fratello/sorella del rinunciante la franchigia (sotto al valore della quale non vi è tassazione) è di Euro centomila, oltre la quale l’aliquota sarà del 6%.
- se i beneficiati (indirettamente) sono invece altri parenti fino al 4° grado, affini in linea retta e affini in linea collaterale fino al 3° grado, non vi è franchigia e l’aliquota è del 6%.
- se detti soggetti non appartengono alle categorie predette, oltre a non essere prevista alcuna franchigia, l’aliquota sarà dell’8 % del valore del diritto rinunciato.
Inoltre sono da calcolarsi le seguente imposte:
Ipotecaria: 2% (Art. 1 TUIC)
Catastale: 1% (Art. 10 TUIC)
Il trattamento fiscale è dunque il medesimo che quello applicabile alla rinuncia donativa (a favore di un soggetto determinato che si intende arricchire, depauperandosi) che è un contratto.
Al riguardo si vedano le Risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria 16 febbraio 2007, n. 25/E, Circolare 27 marzo 2008, n. 28/E e l’ordinanza della Corte di Cassazione 2252/2019, che partono dal presupposto che l’atto di rinuncia a diritti reali produce un vantaggio in capo a un soggetto specifico (il comproprietario o il nudo proprietario) e che tra l’atto di rinuncia e l’arricchimento del beneficiario sussiste un nesso di causalità.
“Anche in mancanza di un accordo negoziale, dalla rinuncia deriva comunque la ricostituzione della piena proprietà dell’immobile gravato dal diritto di usufrutto, con conseguente arricchimento del patrimonio del nudo proprietario.”
RINUNCIA ABDICATIVA ALLA PIENA ED ESCLUSIVA PROPRIETA’
Fa notare il Notaio Angelo Busani in Corriere Tributario 20/2018 che in questo caso, risolvendosi in un acquisto di cui profitta appunto lo Stato, si è in presenza di una fattispecie “non soggetta” a tale imposta ai sensi della disposizione riportata; pertanto, “non applicandosi – per mancanza di onerosità – l’imposta di registro e trattandosi di fattispecie “non soggetta” a imposta di donazione, essa è estranea all’applicazione sia dell’imposta di registro che dell’imposta di donazione.” Quanto alle imposte ipotecaria e catastale, l’applicazione dell’imposizione “ordinaria” (e cioè dell’imposta ipotecaria con l’aliquota del 2% e dell’imposta catastale con l’aliquota dell’1%, sopra riportate) dovrebbe cedere il passo alla considerazione che, trattandosi di effettuare, nei Registri Immobiliari e nella banca dati catastale, formalità nell’interesse dello Stato, esse non sono soggette a imposizione.
Testo unico del 31/10/1990 n. 346 – Articolo 3 – Trasferimenti non soggetti all’imposta (Art. 3 DPR 637/1972) In vigore dal 25/11/2014
Articolo 8
1. Non sono soggetti all’imposta i trasferimenti a favore dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, ne’ quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalita’ di pubblica utilita’, nonche’ quelli a favore delle organizzazioni non lucrative di utilita’ sociale (ONLUS) e a fondazioni previste dal decreto legislativo emanato in attuazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461.
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