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Magazzino e Deposito di società estera in Italia.

Aprile 10, 2020 by GC 3 commenti

Prima di allestire un magazzino di stoccaggio o consegna in Italia occorre verificare se lo stesso, in base all’eventuale accordo contro la doppia imposizione esistente tra l’Italia e il Paese estero, possa o meno realizzare la fattispecie della stabile organizzazione dell’impresa non residente in Italia.

Un mero centro di immagazzinamento e distribuzione di beni costituito in Italia da parte di un’impresa non residente, quando si limita a svolgere attività solo di “deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti all’impresa” non costituisce ai sensi dell’art. 5 del modello OCSE e dell’articolo 162 del Tuir una stabile organizzazione del soggetto estero nel territorio italiano.

Necessario che si faccia “uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione e di consegna di merci appartenenti all’impresa”

Qualsiasi altro tipo di attività che non sia di semplice “deposito, di esposizione e di consegna delle merci appartenenti all’impresa” può far presumere l’esistenza di una stabile organizzazione materiale con la conseguenza di assoggettamento alle normative tributarie italiane.

La stabile organizzazione “materiale” (presupposto per l’imposizione fiscale nel caso) è definita come “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”.

Il concetto di sede d’affari può consistere in ogni tipo di edificio, struttura o istallazione utilizzati, anche non in forma esclusiva, per lo svolgimento dell’attività d’impresa, compresa anche solo la presenza di macchinari, apparecchiature, di un locale o anche solo un’area o uno spazio all’interno di un immobile.

Sulla relativa qualificazione la  Corte di Cassazione (sentenza n. 40327/2014) ha chiarito che lo stoccaggio di prodotti presso un magazzino ubicato in Italia volto alla loro spedizione ai clienti, senza che tale attività sia accompagnata da decisioni imprenditoriali o altre prove di autonomia nella accettazione degli ordini, nella gestione dei reclami dei clienti e nella definizione di quantità e qualità delle merci da spedire ai clienti, non costituisce di per sé una stabile organizzazione in Italia del soggetto estero, quanto sia dimostrato che le decisioni imprenditoriali sono assunte dalla società stessa, mentre in Italia permane una fase meramente esecutiva.

Più recentemente la stessa Corte di Cassazione (sentenza n. 4576/2017), ha condiviso le istanze dell’amministrazione finanziaria presumendo che sussistesse in Italia una stabile organizzazione di una società estera, quando concorrano altri elementi di fatto (legami soggettivi ed oggettivi fra la compagine sociale e l’amministratore della società estera con altre imprese residenti che operavano nella sua stessa orbita, unitamente al rinvenimento nella sede di queste società di documentazione – per la verità non precisata nel testo della sentenza – riferita alla società estera, sono stati ritenuti indizi che i giudici dell’appello avrebbero dovuto considerare nella loro valutazione, senza perciò fermarsi agli aspetti strettamente formali).

Il principio corrisponde a quello già analizzato per il quale il magazzino per costituire unità locale e non stabile organizzazione materiale, deve costituire direttamente un costo per l’impresa non residente e non deve essere fonte diretta di reddito per la stessa.

La stabile organizzazione per essere tale deve infatti essere in grado di produrre autonomamente un reddito (idoneità produttiva).

Evidente che ai fini anche solo logistici l’esistenza di un magazzino per l’impresa estera costituirà sempre un vantaggio (indiretto).

Occorre poi tenere conto che, anche in virtù del piano BEPS – Base Erosion and Profit Shifting, il magazzino di consegna per non realizzare la fattispecie della stabile organizzazione deve avere un carattere preparatorio e ausiliario rispetto all’attività svolta dall’impresa.

L’OCSE con il Piano BEPS ha individuato 15 Azioni finalizzate ad attribuire i redditi ai Paesi nei quali essi sono stati effettivamente prodotti.
Il Commentatario del Modello OCSE, rivisto in base a tale Piano, in riferimento all’articolo 5 del Modello OCSE (Stabile organizzazione), nel punto 22, afferma che:
“Whether the activity carried on at such a place of business has a preparatory  or auxiliary character will have to be determined in the light of factors that include the overall business activity of the enterprise. Where, for example, an enterprise of State R maintains in State S a very large warehouse in which a significant number of employees work for the main purpose of storing and delivering goods owned by the enterprise that the enterprise sells online to customers in State S, paragraph 4 will not apply to that warehouse since the storage and delivery activities that are performed through that warehouse, which represents an important asset and requires a number of employees, constitute an essential part of the enterprise’s sale/distribution business and do not have, therefore, a preparatory and auxiliary character”.

Secondo l’art. 5 del Modello ONU (che si applica ai paesi non OCSE) di convenzione contro la doppia imposizione, invece, anche un magazzino di semplice consegna può costituire stabile organizzazione dell’impresa italiana nel Paese estero.

Cosa deve fare l’impresa non residente in concreto?

Per far si che le operazioni di consegna di merce dal paese di residenza al magazzino italiano non imponibili IVA in Italia secondo il meccanismo del reverse charge, è necessario che il luogo di immagazzinamento della merce (qualunque esso sia, si pensi anche al caso Amazon) sia nella disponibilità materiale dell’impresa non residente a mezzo contratto di locazione (o altro titolo) registrato all’Agenzia delle Entrate.

In caso contrario l’Amministrazione tributaria presume che la cessione stessa sia stata fatta nei confronti di chi ha la disponibilità materiale del luogo di stoccaggio/magazzino.

Già per la registrazione del contratto avente ad oggetto il bene la società estera deve identificarsi ai fini IVA in Italia.

La merce in magazzino non può essere ivi custodita prima dell’identificazione diretta ai fini IVA, perché l’operazione di consegna della merce in Italia deve essere regolarizzata dalla partita IVA italiana della stessa società mediante l’applicazione del reverse charge.

Alternativamente all’identificazione diretta ai fini IVA, e, in alcune ipotesi obbligatoriamente, fra le quali quella in cui le merci del magazzino siano da vendere sul mercato italiano anche a soggetti privati (B2C), il soggetto estero dovrà provvedere a nominare un RAPPRESENTANTE FISCALE IN ITALIA AI FINI IVA (VAT).

Di conseguenza:

  1. il trasporto della merce al magazzino in Italia è soggetto al regime del reverse charge, secondo le disposizioni tributarie europee; viene compilato l’INTRASTAT su acquisti.
  2. la cessione interna dal magazzino al cliente finale è soggetta al regime fiscale italiano, senza obbligo di compilazione INTRASTAT.

Nel caso di presenza di un’impresa in un determinato Paese Ue mediante una stabile organizzazione Iva, tale impresa sulle cessioni interne a tale Paese deve applicare l’Iva e non può quindi utilizzare la procedura del reverse charge esterno, riservata ai soggetti non stabiliti in tale Paese.

Immagazzinare i prodotti nel paese UE del consumatore prima della vendita non viene infatti considerato una vendita a distanza: la vendita a consumatori italiani di prodotti già immagazzinati in Italia, sarà una vendita nazionale in Italia.

Per la gestione del magazzino, l’impresa costituita all’estero deve dunque adempiere a due obblighi in Italia:

  • istituzione di un’unità locale 
  • effettuare immediatamente la registrazione ai fini IVA in Italia (dal momento in cui le merci entrano in Italia). Registrazione comunque dovuta anche se non si preveda lo stoccaggio/deposito delle merci in Italia.

Istituzione di un’unità locale in Italia

La disponibilità del magazzino sul territorio italiano viene pubblicizzata nel Registro Imprese in Italia.

Per la pratica relativa rinviamo al relativo articolo o puoi contattarci direttamente, anche via WhatsApp, seguendo l’icona in basso a destra.

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blog Italia Polonia,  fiscalità,  lavorare in Italia,  lavoratori ue stabile organizzazione

Interazioni del lettore

Commenti

  1. Dirlea Ramona Delia dice

    Agosto 22, 2020 alle 4:49 pm

    Buongiorno,
    caso concreto: ditta in Romania.
    Nella legislazione romena e’ prevista la possibilita’ di aprire un “punto di lavoro” in un’altro stato UE, nella fattispecie una showroom o e’ possibile affittare uno spazio per la presentazione di campioni.
    Se viene depositata merce in Italia nello spazio affittato dalla ditta romena, e’ successivamente possibile consegnare merci a clienti italiani (esclusivamente ditte) facendo fattura dalla romania?

    Rispondi
    • GC dice

      Agosto 22, 2020 alle 5:07 pm

      Buongiorno,
      Affinché non si configuri una stabile organizzazione lo Showroom deve essere a unicamente una fonte di spesa (con fini promozionali o di analisi preliminare di mercato) e non di guadagno (diretto) per la società estera.. ovvero i contratti relativi alle merci non sono da riferirsi all’attività dell’unità locale.

      Rispondi

Trackback

  1. L'IMPRESA ESTERA CHE OPERA IN ITALIA - Giulio Cesare ha detto:
    Aprile 10, 2020 alle 11:20 am

    […] locale di società estera (vedi dettagli) che può essere anche un magazzino per lo stoccaggio/deposito di prodotti dell’impresa non residente da commercializzare in […]

    Rispondi

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