Le obbligazioni convertibili sono titoli in serie rappresentativi di un’unitaria operazione di finanziamento, che attribuiscono al titolare, oltre al diritto al rimborso del capitale e degli interessi secondo il piano di ammortamento, anche il diritto alla conversione in azioni della società emittente o di altra società (emissione indiretta).
Il sottoscrittore di detti titoli ha il diritto potestativo di assumere la qualità di socio sottoscrivendo azioni che saranno liberate mediante la stessa somma versata a titolo di prestito alla società, secondo il rapporto di cambio previsto.
Per questo i sottoscrittori di detti titoli sono definiti “azionisti potenziali”, la competenza a deliberare in merito all’emissione di obbligazioni convertibili è dell’assemblea straordinaria e le obbligazioni medesime sono da offrirsi in opzione agli attuali soci (e a chi ha già sottoscritto un precedente prestito obbligazionario convertibile).
La delibera di emissione del c.d. P.O.C. può, anzi, nelle ipotesi più frequenti, deve prevedere un aumento di capitale sociale a servizio della conversione.
Detto aumento di capitale è “a servizio della conversione” in quanto riservato ai sottoscrittori delle obbligazioni che decidano di convertire ovvero, di quelli che, anziché richiedere il rimborso del capitale già investito, decidano di sottoscrivere azioni da liberarsi con la somma già versata a titolo di finanziamento alla società o, rectius, con quella che la società dovrebbe restituire all’obbligazionista alla scadenza del prestito.
Il debito alla restituzione del denaro che la società aveva nei confronti dell’obbligazionista “si converte” in sottoscrizione dell’aumento di capitale a copertura delle azioni convertite. Questa è la ragione per la quale è oggi ammissibile emettere obbligazioni convertibili con disaggio o sotto la pari.
Tale aumento di capitale “a servizio” sarà necessariamente:
- Scindibile;
- Progressivo;
- Solamente deliberato fino alla scadenza del prestito;
- Soggetto alla disciplina dell’art. 2438 cc ovvero alla previa integrale liberazione delle azioni già emesse giusto l’art. 2410 bis cc;
- Soggetto al principio del previo ripianamento delle perdite;
- Non soggetto al limite di emissione di cui all’art. 2412 c.c.
L’importo dell’aumento a servizio dipende dal RAPPORTO DI CAMBIO che, appunto, è l’indice del “peso” che l’obbligazionista avrà in società se, alla scadenza, decida di convertire, offrendo evidenza di quante azioni gli saranno attribuite in conversione.
Natura giuridica
La natura giuridica del prestito obbligazionario convertibile è quella di un mutuo oneroso con un patto di opzione di novazione del rapporto di finanziamento in “rapporto sociale”:
con una dichiarazione unilaterale di volontà il sottoscrittore del prestito ha la possibilità di trasformare il credito in partecipazione sociale e quindi di mutare il titolo del suo investimento che da finanziamento diviene “capitale di rischio”.
Si discute se, anche in questa ipotesi, sia applicabile la disciplina dell’art. 2441 c.c. sulla esclusione o limitazione dell’opzione: parte della dottrina sostiene la tesi negativa, sulla base della lettera della norma (che riferisce la limitazione dell’opzione alla sola emissione di azioni e non di obbligazioni convertibili) nonché sulla difficoltà di applicare il comma 6 (relazione degli amministratori e del Collegio sindacale). Altra dottrina (Campobasso) sostiene la tesi positiva, dal momento che, anche per le obbligazioni convertibili è possibile individuare gli stessi interessi dell’esclusione dell’opzione per l’emissione di azioni, e la conseguente applicabilità del comma 6 del citato articolo con gli opportuni adattamenti.
Rapporto di cambio
Il rapporto di cambio è determinato da due fattori: il rapporto di numero (matematico-nominale) obbligazione/azione e il rapporto di valore nominale delle azioni /valore nominale delle obbligazioni.
Limite all’emissione
L’art. 2412 c.c. prevede che la società non possa emettere obbligazioni per una somma complessivamente superiore al doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Tale limite non trova applicazione per le obbligazioni il cui rimborso sia garantito da ipoteca di primo grado su immobili fino ai 2/3 del valore degli stessi (in applicazione del limite di finanziabilità (80 % del valore di realizzo) comune all’art. 38 TUB per le ipotesi di mutuo fondiario).
Detto limite è stato previsto per ragioni di equilibrio finanziario, ovvero perchè sia previsto e conservato un determinato rapporto fra capitale e credito.
L’art. 32 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012 n. 134, ha modificato il quinto comma dell’art. 2412 c.c., la cui formulazione è divenuta la seguente: “I commi primo e secondo non si applicano alle emissioni di obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni”.
Pertanto non vi è più alcun limite all’emissione di obbligazioni quando queste siano convertibili, come se la facoltà di conversione rappresentasse una garanzia per il sottoscrittore o una qualità particolare dello stesso, che, in quanto potenziale azionista, assume già per questo sempre “potenzialmente” il rischio di impresa.
Emissione con DISAGGIO
Per comprendere cosa sia l’emissione con disaggio o “sotto la pari” occorre tenere presenti i seguenti fattori:
- il valore nominale del prestito rappresenta il “costo” (oltre gli interessi) dell’operazione per la società, essendo il valore di rimborso dei titoli emessi nel caso in cui il sottoscrittore non intenda convertire;
- il prezzo di emissione del prestito è quanto “incamera” la società dall’obbligazionista alla sottoscrizione del titolo.
Chiaro che il guadagno dell’obbligazionista, oltre agli interessi, è nella differenza tra valore nominale (quanto gli verrà dato) e prezzo di emissione (quanto paga).
Dopo la novella del 2003 non è stato più riprodotto il divieto di emissione di obbligazioni convertibili “sotto la pari” ossia per somme inferiori al loro valore nominale (in sede di conversione) ma si rinvia solo genericamente all’art. 2346 comma 5 per cui il prezzo complessivo delle obbligazioni non potrà essere inferiore al complessivo capitale sottoscritto in sede di conversione.
Il divieto era dettato al fine di mantenere l’effettività del capitale: non poteva prevedersi un aumento a servizio da liberarsi con somme non effettivamente entrate in società (ovvero oltre il prezzo di emissione).
Invero, in caso di conversione, ciò di cui la società si arricchisce non è solo il quantum ricevuto ma l’importo del dovuto alla scadenza. Eliminare una posta passiva (il rimborso) contabilmente equivale ad acquisire una posta passiva.
Sarà quindi possibile prevedere un prezzo di emissione (es. 0,50) anche inferiore al valore nominale delle azioni (es. 1€) purchè sia fissato un adeguato rapporto di cambio (2 obbligazioni per un’azione), in modo che il prezzo complessivo sia uguale al capitale sottoscrivibile.
Pertanto l’importo dell’aumento a servizio (o, comunque, delle azioni da attribuire in conversione) sarà determinato in base al rapporto di cambio ma non potrà essere superiore al valore nominale del prestito (salvo casi particolari che consentano il rispetto dell’art. 2436 C.C.).
Operazioni societarie e obbligazioni convertibili
Per le operazioni straordinarie della società emittente (o comunque di quella che sia soggetta alla conversione, in ipotesi di procedimento “indiretto”) è prevista una disciplina che contemperi gli interessi degli obbligazionisti, in quanto “azionisti potenziali”, e della società, a compiere l’operazione.
aumento a pagamento
In questa ipotesi spetta agli obbligazionisti il diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione, in base al loro rapporto di cambio.
Altrimenti gli obbligazionisti che dovessero decidere di convertire, avrebbero un peso relativo minore nella società a seguito dell’aumento delle azioni.
Trova applicazione il disposto dell’art. 2441 cc:
Nell’ipotesi di esclusione del diritto di opzione per interesse della società (2441 comma 5) si discute se la delibera debba essere approvata anche dalla assemblea degli obbligazionisti, perché comporterebbe una modifica sostanziale delle condizioni di prestito. Si ritiene tuttavia che, per l’esclusione del diritto di opzione non sia necessaria una apposita delibera degli obbligazionisti, dal momento che la disciplina legale, che richiede la sola delibera dei soci, opera indipendentemente dal consenso degli obbligazionisti.
Dal punto di vista operativo occorre attribuire le azioni di nuova emissione ai soci e agli obbligazionisti come se questi avessero già convertito.
aumento gratuito
Attraverso un operazione di aumento gratuito i soci imputano a capitale delle poste patrimoniali disponibili, senza immettere nuove risorse in società.
Conseguentemente se non fosse considerata la posizione degli obbligazionisti questi verrebbero, fermo il loro vantaggio quali creditori della società, dovuto a detta imputazione, pregiudicati in quanto potenziali azionisti: in caso di conversione avrebbero un peso relativo minore rispetto alle iniziali condizioni.
L’art. 2420 bis comma 5 prevede infatti che il rapporto di cambio sia aumentato in misura dell’aumento al fine di garantire che all’obbligazionista venga riservato il medesimo trattamento (in percentuale) che gli spettava a prescindere dall’operazione volontaria sul capitale.
Di conseguenza all’adeguamento del rapporto di cambio occorre individuare le risorse patrimoniali necessarie a rispettare il medesimo in sede di conversione, poiché sarà insufficiente l’originario aumento di capitale sociale deliberato a servizio.
Si distinguono due ipotesi (che possono essere anche combinate tra loro, dipendendo da elementi fattuali):
- Quando il rapporto di cambio era previsto fino alla pari, ossia quando il prezzo di conversione sia uguale al valore nominale delle azioni, occorrerà che una proporzionale parte (secondo il rapporto di cambio) delle poste patrimoniali disponibili sia “accantonata” in favore della conversione. L’aumento gratuito pertanto sarà “aumento in parte accantonato” generando una riserva ai fini di conversione e non andando, pertanto, completamente a vantaggio degli attuali soci;
- Quando il rapporto di cambio avrebbe generato una riserva da conversione – poiché il rapporto di cambio sia sopra la pari (o con sovrapprezzo) ossia il prezzo di conversione sia superiore al valore nominale delle azioni – si ricorrerà alla tecnica del cd. doppio aumento. Due sono infatti gli aumenti che saranno deliberati: uno (attuale) a vantaggio degli attuali soci che godranno interamente delle riserve disponibili ed un secondo aumento gratuito, a beneficio esclusivo degli obbligazionisti, nella misura e proporzione della conversione, con imputazione della riserva da conversione.
riduzione per perdite
Ai fini di mantenere inalterati gli equilibri già previsti fra obbligazionisti che convertano ed azioni, l’art. 2420 bis comma 5 cc prevede che in caso di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio deve essere modificato in misura della riduzione.
Così si rispetta la posizione di azionisti in fieri degli obbligazionisti evitando che traggano un indebito vantaggio a danno degli azionisti.
Incertezze dottrinali sono da segnalarsi per il caso in cui l’entità della perdita sia di importo tale da ridurre a zero il capitale sociale.
Si discute, infatti, se l’azzeramento del capitale comporti pure l’azzeramento del rapporto di cambio e, conseguente, venga meno lo strumentale diritto di opzione con trasformazione del prestito in prestito obbligazionario semplice.
Secondo la tesi maggioritaria anche se il rapporto di conversione viene azzerato, agli obbligazionisti spetterebbe comunque il diritto di opzione ai sensi dell’art. 2441 sulla ricostituzione del capitale in base al rapporto di cambio che avevano prima della riduzione del capitale.
Qualora invece non decidessero di sottoscrivere l’aumento, si troverebbero ad essere titolari di semplici obbligazioni, essendosi estinto il diritto alla conversione.
riduzione volontaria
L’art. 2420 bis comma 4 stabilisce che la società, qualora voglia procedere ad una riduzione volontaria o alla modificazione delle norme concernenti gli utili, deve dare agli obbligazionisti la possibilità di convertire anticipatamente nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione, con avviso depositato 90 giorni prima dell’ assemblea presso il Registro Imprese. Queste operazioni infatti arrecano sempre pregiudizio agli obbligazionisti.
Gli obbligazionisti, poi, in quanto creditori sociali, potranno opporsi alla riduzione ex 2445 comma 3 e 4.
Si discute se per la riduzione volontaria per perdite, inquadrabile nella riduzione volontaria, debba applicarsi la normativa della riduzione per perdite obbligatoria (modifica del rapporto di cambio) oppure, come sembra più opportuno, quella della riduzione volontaria (conversione anticipata).
– La riduzione volontaria mediante riduzione del valore nominale delle azioni, fa si che gli obbligazionisti acquistino una partecipazione percentualmente identica (rispetto agli azionisti) a quella originaria, anche se rappresentativa di un patrimonio minore.
– La riduzione mediante annullamento delle azioni, fa si che, in caso di conversione, gli obbligazionisti abbiano una percentuale maggiore del capitale rispetto all’originario rapporto con i soci (è tuttavia allo stato poco seguita la tesi che afferma che in tale ipotesi sarà necessario anche la modifica del rapporto di cambio, perché non prescritta da nessuna norma).
Nel caso in cui gli obbligazionisti non convertano si discute se questi mantengano il diritto di convertire alla scadenza del prestito o se questo divenga semplice.
modificazione delle norme sugli utili ed emissione di categorie di azioni privilegiate
La modificazione dei criteri statutari di ripartizione degli utili possono pregiudicare gli obbligazionisti a causa della modificazione della redditività delle azioni offerte in conversione.
I criteri di ripartizione degli utili sono inoltre modificati indirettamente anche a seguito di delibere di emissioni di azioni privilegiate o di risparmio.
In questa ipotesi agli obbligazionisti spettera’ il diritto alla conversione anticipata quando l’emissione sia prevista a titolo di conversione di azioni già emesse (ferma la necessità che sia rispettata la parità di trattamento).
Nel caso in cui l’emissione della nuova categoria di azioni a titolo di aumento, essendo, come visto, gli obbligazionisti tutelati dalla opzione ex 2441 cc, si discute se ai medesimi spetti anche la conversione anticipata.
2- una seconda tesi sostiene che la possibilità della conversione anticipata legittimi solo la società a procedere alla riduzione, ma non elimina il normale termine di conversione, che potrà essere anche successivamente esercitato.
Si ritiene anche che la modifica del regime di circolazione delle azioni richieda la preventiva approvazione della assemblea degli obbligazionisti convertibili, rientrando nella modifica delle condizioni originarie di prestito.
fusione
Gli obbligazionisti, ai sensi dell’art. 2503 bis cc possono fare opposizione alla fusione salvo che la fusione sia stata approvata dalla assemblea degli obbligazionisti.
Lo stesso Art. 2503 bis cc prevede poi che agli obbligazionisti sia offerta la possibilità di conversione anticipata.
Agli obbligazionisti che non abbiano fruito della conversione anticipata devono essere offerti “diritti equivalenti” a quelli goduti prima della fusione, salvo che approvino, nella assemblea degli obbligazionisti, la modificazione dei propri diritti.
E’ discusso se, in ipotesi in cui l’incorporante o la nuova società, siano di tipo differente da quello della S.p.A., e, pertanto, il prestito sia da rimborsare anticipatamente o da novarsi in mutuo ordinario (salvo titoli di debito per SRL), se per la modificazione strutturale del prestito, sia necessario il consenso unanime degli obbligazionisti uti singoli e non solo la maggioranza assembleare. L’opinione maggioritaria propende per la necessità del consenso di ciascun obbligazionista.
scissione.
Anche nella ipotesi di scissione, per il rinvio contenuto nell’art. 2506 ter, si applicherà la disciplina della fusione, e quindi (oltre al diritto alla opposizione) dovranno essere assicurati diritti equivalenti che si sostanzieranno in un aumento del capitale a servizio da parte della società assegnataria del prestito obbligazionario (secondo i due rapporti di cambio ovvero quello di conversione e quello di scissione).
Se tale assegnazione non sia possibile per il tipo sociale delle società beneficiarie (scissione trasformativa), allora, come per la fusione, vi sarà, fermo il diritto alla conversione anticipata, rimborso anticipato o novazione in mutuo ordinario.
trasformazione
La pendenza di un prestito obbligazionario costituisce un ostacolo per la società emittente di trasformarsi in un tipo diverso dalla Spa o sapa, per il quale è esclusa la possibilità di emettere obbligazioni.
Prima pertanto di procedere alla trasformazione la società dovrà adottare opportuni provvedimenti volti a eliminare le suddette obbligazioni: rimborso anticipato delle obbligazioni o novazione del prestito in mutuo ordinario.
Dottrina autorevole ritiene che mentre per l’operazione di rimborso anticipato sia sufficiente la delibera a maggioranza dell’assemblea degli obbligazionisti, poiché trattasi di una mera modifica della data di scadenza del prestito, che è una condizione e non elemento strutturale del prestito stesso (c’è tuttavia la tesi, sicuramente più garantista, della unanimità), la novazione in mutuo ordinario inciderebbe sulla struttura del prestito e quindi è necessaria l’unanimità.
Nella ipotesi di obbligazioni convertibili, a detti provvedimenti, dovrà essere aggiunta la possibilità di convertire anticipatamente in analogia a quanto previsto in tema di riduzione volontaria e fusione. Si ritiene che la decisione di trasformazione debba essere sempre approvata dalla assemblea degli obbligazionisti, importando una modificazione delle condizioni originarie del prestito.
Agli obbligazionisti che non decidano di convertire sarà assicurato il rimborso anticipato o la novazione in mutuo.

H.K. SPA – Obbligazioni > SPA Obbligazioni
H.K.1 – (EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI NEL PRIMO ESERCIZIO – 1° pubbl. 9/04)
La società può deliberare l’emissione di un prestito obbligazionario anche nel corso del primo esercizio. In tal caso l’assemblea deve approvare un bilancio straordinario.
H.K.2 – (CONTROLLO DI LEGITTIMITÀ DELLE DELIBERE DEGLI OBBLIGAZIONISTI – 1° pubbl. 9/04)
Le delibere dell’assemblea degli obbligazionisti non sono soggette a controllo di legittimità da parte del notaio ma devono avere le forme previste per le assemblee straordinarie (verbale redatto da notaio).
H.K.3 – (DIRITTI DEGLI OBBLIGAZIONISTI CONVERTIBILI IN CASO DI AZZERAMENTO DEL CAPITALE SOCIALE – 1° pubbl. 9/04 – modif. 09/07)
In caso di azzeramento del capitale sociale i portatori di obbligazioni convertibili perdono il diritto di conversione ma mantengono quello di opzione sul successivo aumento volto a ricostituire il capitale sociale.
H.K.4 – (DETERMINAZIONE DI EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI DA PARTE DELL’AMMINISTRATORE UNICO E ASSISTENZA DEI SINDACI – 1° pubbl. 9/06)
La determinazione dell’amministratore unico di emissione di obbligazioni assunta ai sensi dell’art. 2410 c.c. non necessita della contestuale assistenza dei sindaci finalizzata a rendere l’attestazione di cui all’art. 2412, comma 1, c.c.
Detta ultima disposizione, infatti, impone che i sindaci attestino il rispetto del limite quantitativo di legge in relazione alla emissione di obbligazioni e non anche che detta attestazione sia contestuale alla decisione di emissione o resa nella stessa.
H.K.5 – (MODIFICA DEL RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN SEGUITO AD AUMENTI GRATUITI O A RIDUZIONI PER PERDITE DEL CAPITALE SOCIALE ??\” 1° pubbl. 9/07)
La modifica proporzionale del rapporto di cambio delle obbligazioni convertibili, nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve o di riduzione del capitale per perdite, avviene automaticamente ai sensi dell’art. 2420 bis, penultimo comma, c.c., senza necessità che la delibera relativa a dette operazioni lo preveda espressamente.
H.K.6 – (COMPETENZA A DELIBERARE LA MODIFICA DELLE CONDIZIONI DEI PRESTITI OBBLIGAZIONARI ORDINARI EMESSI ANTERIORMENTE ALLA RIFORMA – 1° pubbl. 9/07)
Nel caso di modifica delle condizioni di prestiti obbligazionari ordinari, emessi prima dell’entrata in vigore della riforma in forza di delibera dell’assemblea straordinaria dei soci, l’organo amministrativo è quello competente ad adottare la relativa delibera, posto che l’art. 2410 c.c., attribuisce ora agli amministratori, in via esclusiva, la competenza in ordine all’emissione di obbligazioni ordinarie (salvo che lo statuto disponga diversamente).
Resta, comunque, ferma la necessità che la modifica delle condizioni del prestito sia previamente approvata dall’assemblea degli obbligazionisti ai sensi dell’art. 2415 c.c.
H.K.7 – (PROCEDIMENTO DI MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI UN PRESTITO OBBLIGAZIONARIO E DETERMINAZIONE DEL MOMENTO DI EFFICACIA DELLA MODIFICA – 1° pubbl. 9/10)
Le modifiche alle condizioni di un prestito obbligazionario devono necessariamente essere approvate sia dalla società, tramite l’organo legalmente o statutariamente competente, sia dall’assemblea degli obbligazionisti, senza che assuma alcun rilievo l’ordine di adozione delle due deliberazioni.
Le modifiche saranno efficaci solo dopo che sarà stata iscritta nel registro imprese la delibera della società ex art. 2436 c.c. (richiamato dall’art. 2410, comma 2, c.c.) e sia stata adottata la conforme delibera dell’assemblea degli obbligazionisti, ancorché non iscritta.
Tale ultima delibera, infatti, pur essendo soggetta a iscrizione nel registro imprese, acquista efficacia immediata, non potendosi ad essa applicare il disposto dell’art. 2436 c.c. per assenza di richiamo.
H.K.8 – (PRESIDENZA DELL’ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI – 1° pubbl. 9/10)
In mancanza del rappresentante comune, l’assemblea degli obbligazionisti può essere presieduta dal presidente della società o da altro soggetto nominato direttamente dagli intervenuti.
H.K.9 – (DEROGABILITA’ DEI TERMINI PER LA CONVERSIONE ANTICIPATA DELLE OBBLIGAZIONI DI CUI ALL’ART. 2420 BIS, COMMA 4, C.C. – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
L’art. 2420-bis comma 4 c.c. prevede un termine di complessivi 90 giorni per il procedimento di conversione anticipata delle obbligazioni nel caso in cui, prima della scadenza dei termini fissati per la conversione, la società voglia deliberare la riduzione reale del capitale sociale o modificare le disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili.
Detto termine di 90 giorni deve intendersi solo per i primi 30 giorni a favore degli obbligazionisti convertibili (trattandosi del periodo in cui possono richiedere la conversione), mentre il rimanente periodo di 60 giorni è un termine ordinatorio da considerarsi stabilito nell’interesse della società e quindi derogabile senza il consenso degli obbligazionisti, purché sia assicurato il diritto di intervento in assemblea di coloro che nel frattempo hanno convertito le obbligazioni in azioni.
H.K.10 – (OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI PROPRIE GIA’ EMESSE E DETENUTE IN PORTAFOGLIO DALLA SOCIETA’ EMITTENTE – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
Si ritiene ammissibile l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni proprie già emesse e detenute in portafoglio dalla società emittente.
In tal caso, posto che l’emissione non necessità di una contemporanea delibera di aumento di capitale, la competenza a deliberare l’emissione delle obbligazioni convertibili spetta all’organo amministrativo (salvo diversa disposizione statutaria), secondo la regola generale dell’art. 2410, comma 1, c.c., ovviamente nel rispetto dell’art. 2346 c.c. (e non all’assemblea straordinaria ex art. 2420 bis, comma 1, c.c.) e previa delibera dell’assemblea ordinaria che autorizzi la dismissione delle azioni proprie ex art. 2357 ter c.c.
H.K.11 – (RIDUZIONE FACOLTATIVA PER PERDITE IN PENDENZA DI PRESTITO OBBLIGAZIONARIO CONVERTIBILE – 1° pubbl. 9/11 – motivato 9/11)
L’ipotesi di riduzione del capitale sociale per perdite facoltativa (non obbligatoria ex artt. 2446 ??\” 2447 c.c., per quanto volontaria) rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2420 bis, comma 5, c.c. e non del comma 4 di detto articolo.
E’ Infatti da ritenersi che l’espressione “riduzione volontaria” di cui al comma 4 dell’art. 2420 bis c.c. riguardi solo le ipotesi di riduzione reale del capitale sociale.
H.K.12 – (DELIBERA DI EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI CHE PREVEDA LA COSTITUZIONE DI GARANZIE EX ART. 2414-BIS C.C. E DESIGNAZIONE DEL NOTAIO – 1° pubbl. 9/12)
La deliberazione di emissione di obbligazioni che preveda la costituzione di garanzie reali a favore dei sottoscrittori, deve designare il notaio che, per conto dei sottoscrittori, compia le formalità necessarie per la costituzione di dette garanzie, anche nel caso in cui, per la costituzione delle garanzie, non sia prevista la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Il notaio designato può essere anche il medesimo che verbalizza la delibera di emissione delle obbligazioni.
H.K.13 – (OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN QUOTE DI S.R.L. CON PROCEDIMENTO “INDIRETTO” – 1° pubbl. 9/20)
Si ritiene ammissibile l’emissione di obbligazioni convertibili in quote di partecipazione di una società terza s.r.l.; le quote della società terza offerte in conversione possono essere già in possesso della società emittente il prestito, oppure possono essere di nuova emissione.
In entrambi i casi la competenza a deliberare l’emissione del prestito spetta all’organo amministrativo (salvo diversa disposizione statutaria) ai sensi dell’art. 2410, comma 1, c.c. e nel rispetto dell’art. 2412 c.c..
Qualora la conversione si riferisca a quote già detenute nel portafoglio della società emittente il prestito sarà opportuno vincolare in maniera adeguata tali partecipazioni al servizio della conversione al fine di garantire il diritto degli obbligazionisti di poterla effettuare; il tutto compatibilmente con il rispetto dei vincoli di circolazione delle quote previsti dallo statuto della s.r.l..
Qualora, invece, la conversione si riferisca a quote di futura emissione sarà necessario che – precedentemente o contestualmente alla delibera di emissione del prestito, e comunque prima della collocazione delle obbligazioni – l’assemblea della società terza deliberi l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle quote da attribuire in conversione nel rispetto dei limiti indicati nell’art. 2481, comma 2, c.c. e sarà pure necessario rispettare le norme di legge per realizzare l’offerta diretta a terzi degli aumenti di capitale della s.r.l..
Il regolamento del prestito dovrà indicare, nel rispetto della convenzione necessariamente stipulata fra le società coinvolte nell’operazione, il rapporto di cambio, nonché il periodo e le modalità di conversione.
La liberazione dell’aumento di capitale della s.r.l. terza in caso di conversione potrà avvenire, a seconda dei casi, mediante rimborso da parte della società emittente il prestito direttamente alla società terza per conto dei convertitori, ovvero mediante compensazione di poste finanziarie tra la società emittente il prestito e la società terza, ovvero, ancora, attraverso qualunque altra modalità idonea ad estinguere sia l’obbligazione di liberazione in denaro dell’aumento di capitale che l’obbligo di rimborso della società emittente il prestito.
H.K.14 – (SUSSISTENZA DI PERDITE NON RIPIANATE – DIRITTO ALLA CONVERSIONE E RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI – 1° pubbl. 9/20)
In presenza di perdite di qualunque entità, siano o meno formalmente accertate, gli obbligazionisti conservano inalterato il loro diritto di conversione secondo il rapporto di cambio originario fino a quando non sia ridotto il numero delle azioni emesse in dipendenza della riduzione (o azzeramento) del capitale a copertura delle medesime.
Il rapporto di cambio non subisce pertanto modifiche nel caso in cui le perdite vengano ripianate con utilizzo di riserve di patrimonio o mediante riduzione del capitale senza riduzione del numero delle azioni (dunque attraverso la diminuzione del solo loro valore nominale, implicito o esplicito che sia).
La disciplina dell’art. 2420 bis, comma 5, c.c. è volta a conservare inalterato il rapporto di cambio in relazione alle percentuali partecipative e non al capitale (anche in senso economico) da esse rappresentato, pertanto le perdite devono incidere nella stessa proporzione e contestualmente sul valore nominale complessivo delle partecipazioni (attuali) degli azionisti e (potenziali) degli obbligazionisti. Fino a quando il valore nominale complessivo delle prime non è ridotto non può essere ridotto nemmeno quello complessivo delle seconde.
H.K.15 – (AZIONI SENZA VALORE NOMINALE E MODIFICA DEL RAPPORTO DI CAMBIO DELLE OBBLIGAZIONI – 1° pubbl. 9/20)
Nelle società con azioni prive di valore nominale nelle quali siano eseguiti aumenti gratuiti o riduzioni per perdite del capitale senza emissione di nuove azioni il rapporto di cambio delle eventuali obbligazioni convertibili esistenti non muta, in quanto la disciplina dell’art. 2420 bis, comma 5, c.c. è volta a conservare inalterato il rapporto di cambio in relazione alle percentuali partecipative e non al capitale (anche in senso economico) da esse rappresentato.
Per lo stesso motivo il rapporto di cambio delle obbligazioni convertibili viene proporzionalmente modificato nel caso in cui, senza modificare l’entità del capitale sociale, venga aumentato o ridotto il numero delle azioni prive di valore nominale emesse.
MASSIME COMMISSIONE SOCIETÀ DEL CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO
XIII. Derogabilità del termine di pubblicazione dell’avviso di conversione anticipata di obbligazioni convertibili (artt. 2420-bis, comma 5, e 2503-bis, comma 2, c.c.)
Il preavviso di tre mesi stabilito per la conversione delle obbligazioni convertibili previste dagli artt. 2420-bis, comma 5, e 2503-bis, comma 2, c.c. è derogabile purché:
(a) sia concesso agli obbligazionisti almeno un mese rispettivamente dal deposito o dalla pubblicazione dell’avviso per richiedere la conversione e
(b) sia assicurata l’emissione delle azioni rivenienti dalla conversione in tempo utile per la partecipazione alle assemblee in relazione alle quali è prevista la facoltà di conversione anticipata.
La facoltà di conversione anticipata è comunque rinunziabile con il consenso unanime ed informato dei portatori delle obbligazioni.
MOTIVAZIONE
Gli artt. 2503-bis e 2420-bis, comma 5, c.c. attribuiscono, in relazione alle fattispecie ivi indicate, ai possessori di obbligazioni convertibili la facoltà di conversione anticipata.
L’avviso di conversione anticipata deve essere rispettivamente pubblicato o depositato almeno tre mesi prima della assemblea o della iscrizione del progetto di fusione o di scissione.
Gli obbligazionisti hanno tuttavia a loro disposizione solamente il primo di questi tre mesi per chiedere la conversione.
Evidentemente gli ulteriori due mesi del periodo di “preavviso” sono posti nell’interesse della società e sono destinati agli adempimenti preliminari e in particolare alla emissione delle azioni a cura della società.
Ciò che residua di interesse degli obbligazionisti è la concreta possibilità di partecipare con le azioni rivenienti dalla conversione alle assemblee chiamate ad assumere le deliberazioni di cui agli artt. 2420-bis, comma 5, c.c. ovvero a deliberare la fusione o la scissione.
Ne discende che la società, ove assicuri tale risultato, possa disporre del tempo che eccede il primo mese ed il successivo periodo necessario a mettere a disposizione le azioni per l’intervento della assemblea, e possa pertanto convocare le assemblee o pubblicare il progetto di fusione prima del decorso dell’intero periodo di tre mesi.
Va ancora precisato che con il consenso unanime degli obbligazionisti informati sia della intenzione di proporre una fusione o scissione, sia del progetto di delibera ex art. 2420-bis, comma 5, c.c. si potrà prescindere dallo stesso preavviso di conversione anticipata o dalla sua durata minima di cui sopra.
61. Emissione di obbligazioni convertibili con disaggio (art. 2420-bis c.c.)
Si reputa legittima la deliberazione di emissione di obbligazioni convertibili anche per somma inferiore al loro valore nominale, purché le condizioni di conversione non comportino violazione dell’art. 2346, comma 5, c.c. e quindi purché il valore nominale delle azioni da emettere in sede di conversione non ecceda il credito che spetterebbe agli obbligazionisti a titolo di rimborso delle obbligazioni stesse per il caso di mancata con-versione.
MOTIVAZIONE
Il terzo comma dell’art. 2420-bis c.c., nel testo vigente prima della riforma, prevedeva che “le obbligazioni convertibili non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale”.
La dottrina che si era formata su tale norma da un lato aveva sottolineato che la norma era ispirata dalla finalità di garantire il rispetto del principio di effettività del capitale, dall’altro aveva rilevato che essa, nella sua formulazione, non raggiungeva lo scopo che si era proposto, dovendo altresì aversi riguardo al rapporto fissato per la conversione.
La soppressione di tale norma appare pertanto opportuna, così come appare opportuna l’introduzione nel secondo comma dell’art. 2420-bis c.c. della espressa previsione secondo cui “si applicano, in quanto compatibili le disposizioni dell’art. 2346, commi 2 e 3 e 5, c.c.”.
Le modificazioni introdotte nella normativa inducono a ritenere che sia venuto meno nel nostro ordinamento il divieto di emissione di obbligazioni convertibili per una somma inferiore al loro valore nominale purché il valore nominale delle azioni da emettere al sevizio della conversione non ecceda il credito che spetterebbe all’obbligazionista per il rimborso delle obbligazioni nel caso in cui decidesse di non esercitare il diritto di conversione.
Si ritiene in particolare che il momento temporale a cui occorre fare riferimento per verificare l’esistenza di questa corrispondenza non sia quello della emissione, ma quello o quelli in cui potrà, sulla base delle condizioni del prestito, esercitarsi il diritto di conversione: la copertura del deliberato aumento di capitale al servizio della conversione avviene infatti mediante utilizzo del credito che il sottoscrittore delle obbligazioni vanta nei confronti della società nel caso di mancata conversione e non con la somma di danaro versata dal sottoscrittore al momento in cui ha sottoscritto le obbligazioni convertibili, versamento che costituisce solo un antecedente storico irrilevante in sede di conversione.
Ovviamente il rispetto del principio di cui sopra andrà verificato tenendo conto delle condizioni e dei termini previsti per la conversione nel regolamento del prestito obbligazionario e ci si dovrà far carico altresì della facoltà, prevista in norme peraltro derogabili, di conversione anticipata in presenza di particolari deliberazioni, quale ad esempio di quella prevista dal secondo comma dell’art. 2503-bis c. c., in modo tale che non possa in nessun caso risultare violato il principio di cui al quinto comma dell’art. 2346 c.c.
Massima 139. Obbligazioni che danno diritto di acquisire ovvero sottoscrivere azioni
L’esenzione dal limite quantitativo all’emissione di obbligazioni contemplata dall’art. 2412, comma 5, secondo periodo, c.c. (come modificato dall’articolo 32 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012 n. 134), con riferimento alle “obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero sottoscrivere azioni”, è applicabile a tutte le seguenti fattispecie:
a) obbligazioni convertibili, tali intendendosi le obbligazioni che attribuiscono all’obbligazionista il diritto di convertire le proprie obbligazioni: (i) sia in azioni di nuova emissione sia in azioni già emesse; (ii) sia in azioni della stessa società emittente sia in azioni di altra società;
b) obbligazioni cum warrant, tali intendendosi le obbligazioni che attribuiscono all’obbligazionista, fermo restando il diritto al rimborso delle obbligazioni stesse, il diritto: (i) di sottoscrivere azioni di nuova emissione, sia della stessa società emittente sia di altra società, mediante l’esecuzione di nuovi conferimenti; (ii) di acquistare azioni già emesse, sia della stessa società emittente sia di altra società, mediante il versamento di un ulteriore corrispettivo;
c) obbligazioni c.d. “convertende”, tali intendendosi le obbligazioni che attribuiscono alla società emittente (e/o a soggetti diversi dagli obbligazionisti) il diritto di convertire le obbligazioni in azioni oppure che prevedono la conversione delle obbligazioni in azioni al verificarsi di eventi o situazioni predeterminate, sia che la conversione possa avvenire: (i) in azioni di nuova emissione o in azioni già emesse; ovvero (ii) in azioni della stessa società emittente o in azioni di altra società.
MOTIVAZIONE
L’art. 32 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012 n. 134, ha modificato il quinto comma dell’art. 2412 c.c., la cui formulazione è divenuta la seguente: “I commi primo e secondo non si applicano alle emissioni di obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni”. La massima ha ad oggetto la seconda fattispecie considerata dalla norma (ossia le “obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni“), introdotta ex novo dalla novella, che ha del resto anche ampliato la prima delle due fattispecie, già in parte presente nella versione previgente.
La lettera della disposizione può ingenerare qualche dubbio interpretativo in merito all’individuazione dell’esatto ambito di applicazione dell’esenzione dal limite. Essa menziona le ipotesi di “acquisto” e di “sottoscrizione” di azioni, senza riferirsi espressamente alla “conversione”, che a ben vedere differisce sia dall’acquisto sia dalla sottoscrizione. Essa inoltre contempla solo l’ipotesi in cui l’acquisto o la sottoscrizione di azione costituisca oggetto di un diritto dell’obbligazionista, senza prevedere in modo esplicito i casi in cui la conversione dipenda da una scelta della società o dal verificarsi di determinate circostanze.
A fronte di questi possibili dubbi, la massima adotta un’interpretazione estensiva della portata della norma, tale da comprendere tutte le ipotesi di obbligazioni convertibili, di obbligazioni cum warrant e di obbligazioni “convertende”, nelle diverse declinazioni conosciute sia nella prassi che nelle trattazioni teoriche (dirette o indirette, proprie o improprie).
Ciò vale, in primis, per le obbligazioni convertibili (per le quali cioè l’obbligazionista non è tenuto, in sede di conversione, ad alcun nuovo versamento, né a titolo di nuovi conferimenti, né a titolo di corrispettivo). Sebbene la lettera della norma non si riferisca espressamente a questa fattispecie, non sembrano esservi dubbi che fosse effettivamente questo l’intento del legislatore. Ciò viene del resto confermato, in chiave sistematica, dalla constatazione che tra tutte le ipotesi in considerazione sono proprio le obbligazioni convertibili ad essere l’unica fattispecie tipica, disciplinata dalle norme del codice civile in tema di s.p.a. L’inclusione delle obbligazioni convertibili nel campo di applicazione della norma in commento, in ogni caso, deve riguardare non solo quelle disciplinate dall’art. 2420-bis c.c. (ossia le c.d. obbligazioni convertibili dirette, aventi ad oggetto azioni della stessa società emittente, con metodo c.d. proprio, ossia mediante emissione di azioni di nuova emissione, di compendio di un aumento di capitale appositamente deliberato a servizio della conversione), ma anche quelle indirette (aventi ad oggetto azioni di società terze), e quelle da convertire con metodo c.d. improprio (vale a dire mediante l’assegnazione di azioni già precedentemente emesse, senza che venga quindi aumentato il capitale sociale a servizio della conversione).
In tutte le varianti ora considerate – nell’ambito del genus obbligazioni convertibili – risulta infatti realizzata la ratio della norma, volta essenzialmente ad eliminare il limite quantitativo di emissione delle azioni ogni qual volta l’operazione sia finalizzata alla realizzazione di un investimento non di mero “prestito”, bensì potenzialmente anche di equity. Ciò avviene, a ben vedere, pur con modalità diverse, in ciascuna delle ipotesi ora contemplate, quand’anche la conversione non dia luogo all’emissione di azioni di nuova emissione o non abbia ad oggetto azioni della stessa emittente. La circostanza che le azioni nelle quali avviene la conversione non siano azioni di nuova emissione, del resto, non fa venir meno lo scopo perseguito dalla norma, com’è dimostrato dal fatto che la norma stessa include tra le esenzioni le emissioni di obbligazioni che danno il diritto di “acquistare” azioni, alludendo chiaramente a ipotesi in cui l’obbligazionista non ottiene azioni di nuova emissione, di compendio di un aumento di capitale, bensì azioni già precedentemente emesse.
Oltre alle obbligazioni convertibili, devono ritenersi comprese nell’ambito della norma anche tutte le ipotesi di obbligazioni cum warrant, le quali, a differenza delle prime, attribuiscono al titolare il diritto di acquistare o sottoscrivere azioni mantenendo il diritto al rimborso dell’obbligazione e quindi imponendo, in caso di esercizio del warrant, l’esecuzione di un ulteriore versamento, vuoi a titolo di corrispettivo (warrant di acquisto), vuoi a titolo di conferimento (warrant di sottoscrizione). L’inclusione di tali fattispecie nell’ambito dell’esenzione dell’art. 2412, comma 5, c.c., è in questo caso testuale, giacchè è proprio l’abbinamento del warrant che conferisce all’obbligazionista il “diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni” contemplato dalla norma in questione. Non sembra che, neppure in questo ambito, debbano farsi distinzioni tra azioni della stessa emittente o azioni di altre società, sovente dello stesso gruppo dell’emittente. Parimenti, non sembra doversi ritenere necessario, affinché il prestito obbligazionario sia svincolato dal limite quantitativo, che il warrant debba rimanere indissolubilmente legato all’obbligazione con la quale viene emesso, posto che la ratio della norma risulta comunque realizzata anche se le due posizioni giuridiche (dell’obbligazione e del warrant), una volta venute alla luce, siano suscettibile di circolazione separata.
In ultimo, vengono ritenute incluse nell’esenzione in parola anche le obbligazioni “convertende”, caratterizzate dal fatto che la conversione – da intendersi anche qui in senso lato, al pari di quanto affermato nell’ipotesi sub a) – non costituisca oggetto di un “diritto” di ogni singolo obbligazionista, bensì della stessa società emittente (c.d. reverse convertible) o della maggioranza degli obbligazionisti, oppure rappresenti la conseguenza di circostanze esterne, riguardanti ad esempio l’andamento economico della società emittente o della sua capogruppo. Si consideri infatti che, se è vero che la norma svincola dal limite quantitativo le ipotesi di emissioni obbligazionarie che potenzialmente possono “trasformarsi” in operazioni di raccolta di equity, è a maggior ragione vero che siffatta potenzialità è ravvisabile nei prestiti “convertendo”, per i quali tale trasformazione non è subordinata alla volontà dell’obbligazionista, bensì rimessa alla stessa società emittente, che può quindi decidere, più o meno liberamente, di ridurre il proprio debito ed incrementare il patrimonio netto.
Nota bibliografica
Prima della modifica operata dal D.L. 83/2012, «la dottrina, in maniera pressoché unanime, non riteneva sussistessero dubbi circa la piena applicabilità alle obbligazioni convertibili (recte al limite quantitativo alla loro emissione) dei limiti fissati dall’art. 2412, atteso che, al momento dell’emissione e fino alla conversione, si tratta a tutti gli effetti di obbligazioni rappresentative di capitale di debito» (V. Cimmino, L’emissione di obbligazioni convertibili in azioni, in Le Società, Assago, 2014, p. 400).
A seguito della novella del 2012, quasi tutti gli autori concordano nel ritenere che l’attuale formulazione del quinto comma dell’art. 2412 c.c. costituisca «una deroga evidente rispetto alla disciplina propria delle obbligazioni ordinarie [.]. Il quinto comma dell’articolo in parola, infatti, così come recentemente modificato, sottraendo le «obbligazioni che danno il diritto di acquistare ovvero di sottoscrivere azioni» dall’assoggettabilità ai commi primo e secondo dell’art. 2412, ha eliminato ogni limite quantitativo alla emissione di obbligazioni convertibili. [.]. Pertanto, alla luce delle recenti modifiche legislative, deve necessariamente ritenersi legittima l’emissione di obbligazioni convertibili oltre il doppio del capitale sociale sottoscritto e delle riserve, secondo l’ultimo bilancio approvato. [.]» (ex alii, si veda V. Cimmino, L’emissione di obbligazioni convertibili in azioni, in Le Società, Assago, 2014, p. 400).
Sono stati tuttavia ravvisati dubbi sull’applicabilità del quinto comma in parola all’ipotesi di obbligazioni con conversione c.d. “indiretta”, ossia in azioni di un ente diverso dall’emittente stesso (in senso contrario cfr. Assonime, Circolare n. 39 del 16 dicembre 2013, Le innovazioni sulla finanza d’impresa: cambiali finanziarie. obbligazioni subordinate e partecipative, in Riv. Not., Milano, 2014, p. 158-159), pur prevalendo l’opinione favorevole: «tra i titoli ricompresi nella norma ci sono le obbligazioni convertibili, tanto in azioni dell’emittente, quanto in azioni di società terze nonché le obbligazioni con warrant per la sottoscrizione di azioni emesse da soggetti diversi dall’emittente le obbligazioni. E se si tiene conto dello scopo che si è prefissato il legislatore con il “Decreto Sviluppo”, quale emerge anche dalla relazione, vale a dire di superare le difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese ampliando la loro possibilità di accedere direttamente ai mercati dei capitali, vanno ricomprese anche quelle obbligazioni che prevedono l’accesso al capitale azionario in virtù di congegni diversi dall’esercizio di un diritto dell’investitore: si pensi ai titoli a “conversione forzosa” tanto nel caso in cui il titolo si converte automaticamente in azioni al verificarsi di determinate condizioni, quanto in quello in cui la conversione è discrezionale ma frutto dell’esercizio di un’opzione in favore della società. [.]» (S. Luoni, Le obbligazioni convertibili, in Società per azioni. Costituzione e finanziamento, Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale Bigiavi, Torino, 2013, p. 578-579.). Concorda con quest’ultima lettura anche il Consiglio Nazionale del Notariato (N. Atlante, A. Ruotolo, Le modifiche ai limiti all’emissione del prestito obbligazionario (il nuovo comma 5 dell’art. 2412 c.c.), Studio d’Impresa n. 143-2014/I, in CNN Notizie del 15 luglio 2014).
Solo marginalmente è stata inoltre presa in considerazione l’ipotesi di emissione di obbligazioni «con warrant di acquisto o sottoscrizione di azioni», affermandosi che «potranno essere emesse senza dover rispettare vincoli legati alle dimensioni del patrimonio, chiunque sia l’emittente e prescindendo dalla circostanza che siano o meno negoziate in mercati regolamentati [.].» (A. Paolini, A. Ruotolo, Emissione di obbligazioni convertibili per importo superiore al limite quantitativo previsto dal comma 1 dell’art. 2412, Quesito d’Impresa n. 71-2013/I, in CNN Notizie del 31 maggio 2013).
Parte della dottrina ha infine affermato, interpretando in chiave “estensiva” il disposto dell’art. 2412, comma 5, c.c., che la deroga ai limiti all’emissione si applichi anche alle obbligazioni “convertende” (anche dette reverse convertible) ossia di obbligazioni che «si caratterizzano per il fatto che la conversione in azioni [.] è frutto dell’esercizio di un’opzione da parte della società emittente (e non già del portatore) ovvero avviene in via automatica alla scadenza del prestito per effetto del superamento di parametri o indici di riferimento predeterminati nel regolamento dei titoli» (in questo senso N. Atlante, A. Ruotolo, Le modifiche ai limiti all’emissione del prestito obbligazionario (il nuovo comma 5 dell’art. 2412 c.c.), Studio d’Impresa n. 143-2014/I, in CNN Notizie del 15 luglio 2014). [Nota bibliografica a cura di F. Mottola Lucano].
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