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La comunione de residuo: l’imprenditore coniugato in regime patrimoniale di comunione legale dei beni – la sentenza Cass. Civ. S.U. n. 15889 del 17 maggio 2022

Febbraio 5, 2020 by GC 5 commenti

L’esigenza di conciliare le esigenze di protezione della famiglia tipiche del regime patrimoniale legale con quelle relative alla libertà di iniziativa economica è risolta dal legislatore con il riconoscimento di un particolare regime proprietario sovente non applicato nelle sedi opportune (divisione, successione).

L’art. 178 c.c. dispone che i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento della scioglimento di questa.

La norma pone così un’eccezione al principio sancito dalla lettera a) dell’art. 177 c.c. (che sancisce la regola della comunione gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio) al fine di assicurare la libertà d’iniziativa economica privata, prevedendo una comunione futura ed eventuale che si instaura sui beni destinati all’impresa non già consumati al momento dello scioglimento della comunione legale dei beni.

I beni oggetto di comunione de residuo divengono pertanto oggetto di comunione immediata nelle ipotesi previste dall’art. 191 c.c. (dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi; annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (decesso); separazione personale; separazione giudiziale dei beni; mutamento convenzionale del regime patrimoniale; fallimento di uno dei coniugi):

le ipotesi maggiormente frequenti sono pertanto il decesso di uno dei coniugi e la separazione con importanti conseguenze sulla legittimazione a diporre dei beni stessi come sulla formazione della massa (ereditaria o comune) da dividere.

Vi è subito da sottolineare che:

  • i beni destinati all’impresa possono essere anche immobili;
  • l’esclusione dell’acquisto immediato in comunione legale dipende da un mero fatto (la destinazione all’attività di impresa). Non è necessaria alcuna dichiarazione da parte del coniuge acquirente e tantomeno la partecipazione del coniuge non imprenditore all’atto di acquisto, in quanto l’art. 178 c.c. si limita a richiedere la sussistenza di una relazione funzionale fra bene e impresa al momento dell’acquisto (Cass. 21 maggio 1997 n. 4533).
  • l’imprenditore, finché dura la comunione, può disporre dei beni oggetto di comunione de residuo ex art. 178 c.c. senza l’intervento dell’altro coniuge, e, secondo la giurisprudenza di merito, senza che possa assumere rilevanza il motivo dell’impiego e quindi della consumazione dei redditi individuali e dei frutti, indipendentemente che si sia trattato del soddisfacimento di esigenze personali o del soddisfacimento di esigenze familiari.
  • l’esclusione dalla caduta in comunione legale del bene comporta il totale assoggettamento dello stesso allo statuto imprenditoriale (creditori d’impresa i quali hanno, infatti, esclusiva potestà di rivalersi su detti beni sino al momento di scioglimento della comunione);
  • allo scioglimento della comunione legale sorgerà il regime di cui all’art. 178 c.c. ovvero al coniuge non imprenditore, “su quanto resta”, dovrà essere riconosciuto il relativo diritto.

Nell’intento di chiarire i punti evidenziati si riportano le relative criticità:

  • cosa succede se la destinazione all’attività di impresa cessa prima che venga sciolto il regime patrimoniale di comunione legale?

Si pensi al caso dell’imprenditore che si ritira dall’attività di impresa:

Si potrebbe sostenere, con autorevole Dottrina, che venendo meno la destinazione (per effetto della cessazione dell’attività di impresa) venga anche meno l’ostacolo alla caduta del bene in comunione e pertanto non vi sia più alcun motivo per giustificare il particolare regime previsto dall’art. 178 c.c..

Preferibile la tesi che considera il mutamento successivo di destinazione irrilevante rispetto alla titolarità del bene.

Tale opinione trova fondamento nel dato letterale dell’art. 178 c.c., in base al quale la comunione de residuo dei beni e degli incrementi si realizzerebbe esclusivamente al momento dello scioglimento del regime di comunione e non prima.

Pertanto il fatto della destinazione all’esercizio dell’impresa rileva solo nel momento dell’acquisto del bene: una volta impedito l’ingresso del bene nella comunione legale, una successiva destinazione dello stesso non potrà cambiare la sua destinazione giuridica.

Quanto sopra almeno se il mutamento di destinazione del bene non si concreti in un atto dispositivo dello stesso:

nel caso, infatti, lo stesso venga permutato con altro bene non più destinato all’attività di impresa e suscettibile di formare oggetto di comunione legale, non potranno trovare alcuno spazio le ipotesi surrogatorie dei beni già personali ai sensi dell’art. 179 c.c.

Così, nel caso in cui l’imprenditore conferisca l’azienda oggetto di comunione de residuo in una società di capitali, la quota di partecipazione nella stessa potrà dirsi oggetto di comunione legale immediata ai sensi dell’art. 177 lett. a) c.c..

Così anche – se pur più discusso – in ipotesi di trasformazione in società di capitali della società di persone partecipata dal coniuge imprenditore, si ritiene che la quota (azioni) nella società nella nuova forma cada in comunione legale.

  • cosa comporta la caduta del bene in comunione de residuo?

Abbiamo detto che tale regime di comunione residuale sorge al momento in cui si scioglie il regime patrimoniale di comunione legale dei beni, termine dal quale sui beni costituenti patrimonio potenziale della comunione de residuo e, quindi, finora lasciati all’amministrazione e all’utilizzazione esclusiva del proprio titolare (e fin qui la tutela dell’iniziativa economica privata), deve riconoscersi il diritto del coniuge che non ha partecipato a quella attività d’impresa, e ciò nel rispetto principio di uguaglianza e pariteticità, anche patrimoniale tra i coniugi medesimi.

Ma qual’è la natura del diritto del coniuge non imprenditore?

La dottrina è letteralmente divisa nel riconoscere a detto diritto natura reale o obbligatoria:

  • in caso si fornisse una tutela di tipo reale si assisterebbe alla automatica traslazione, per la quota di un mezzo, al patrimonio dell’altro coniuge dei beni già destinati all’impresa;
  • in caso, invece, si riconoscesse una tutela obbligatoria alla posizione del partecipante alla comunione de residuo, allora il coniuge non avrebbe che un diritto di credito nei confronti dell’imprenditore.

In entrambe le ipotesi si ha una tutela effettiva, spesso trascurata nella prassi (così come l’ulteriore tutela offerta dal legato ex lege di cui all’art. 540 c.c.), con conseguenze importanti in tema di legittimazione a disporre dei beni medesimi.

Conseguenze che, nel caso in cui si dovesse accogliere la tesi tendente a riconoscere natura reale al diritto del coniuge non imprenditore, potrebbero portare anche alla dichiarazione di nullità dell’atto di disposizione a titolo donativo del bene oggetto di comunione de residuo:

si pensi all’eventualità che il coniuge imprenditore, separatosi, intenda donare la sua azienda ad uno dei figli, disponendone, come propria. Accogliendo la detta ricostruzione, la donazione medesima potrebbe essere dichiarata nulla per difetto causale.

La dottrina maggioritaria tende ad attribuire alla comunione “de residuo” natura obbligatoria, con la conseguenza di attribuire al coniuge al quale andrebbe la metà dei beni residuati (di esclusiva spettanza dell’altro coniuge nell’immanenza della comunione legale), un diritto di credito pari alla metà del loro valore netto.

Al momento dello scioglimento della comunione il coniuge dell’imprenditore o del socio illimitatamente responsabile di una società non diventa così automaticamente contitolare dei beni aziendali o della quota di partecipazione sociale, evitando conseguentemente di assumere responsabilità illimitata per obbligazioni da lui stesso non contratte (come per gli eredi del socio di società di persone ex art. 2284 c.c.), avendo piuttosto diritto alla liquidazione di un valore netto (epurato dai debiti aziendali).

Così Cass. n. 6876/2013: “il credito verso il coniuge socio di una società di persone, a favore dell’altro coniuge in comunione “de residuo”, è esigibile al momento della separazione personale, che è causa dello scioglimento , ed è quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, consentendosi altrimenti al coniuge-socio di procrastinare “sine die” la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale“.

In caso di scioglimento della comunione per decesso del coniuge a cui sarebbe dovuta andare la metà dei beni della comunione “de residuo”, l’imprenditore potrebbe quindi vendere il bene della comunione residuale senza il consenso degli eredi del coniuge defunto, ai quali solo si riconosce un diritto di credito, così come potrebbe donare gli stessi beni come propri senza incorrere in errore.


Il condizionale è d’obbligo considerando i pronunciati della Corte di Cassazione che, sovente, riferendosi alla comunione di residuo, ha affermato che al momento dello scioglimento della comunione legale viene ad operarsi un vero e proprio trasferimento, nel senso di una comproprietà differita (Cass. 2597/06).

Si ricorda che ricadono invece nella comunione immediata tra coniugi le aziende gestite da entrambi e costituite dopo il matrimonio giusto il disposto dell’art. 177 lett. d c.c. mentre il regime “de residuo” si applica anche ai frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati, così come previsto all’art. 177. lett. b c.c.; e ai proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, non consumati, così come previsto all’art. 177. lett. c c.c.

Il regime degli acquisti dei beni destinati non all’impresa ma alla professione, pur avendo ratio simile, differisce da quello finora delineato: per escludere la caduta in comunione dei beni immobili e beni mobili di cui all’art. 2683 c.c. occorre che l’esclusione risulti dall’atto di acquisto e che di esso sia stato parte anche il coniuge non acquirente (art. 179 ultimo comma c.c.).

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, con sentenza n. 15889 del 17 maggio 2022 ha confermato che la natura del diritto vantato dal coniuge non titolare dell’azienda sui beni dell’azienda stessa ex art. 178 c.c., affermando il seguente principio di diritto: “Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data”.

CORTE-DI-CASSAZIONE-SEZIONI-UNITE-CIVILI-SENTENZA-N.-15889-DEL-17-MAGGIO-2022-PDFDownload
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DIRITTO CIVILE - ATTI TRA VIVI Cassazione S.U. n. 15889 del 17 maggio 2022,  comunione de residuo,  comunione legale,  coniuge imprenditore

Interazioni del lettore

Commenti

  1. Alberto dice

    Agosto 29, 2022 alle 9:43 am

    Se non ho capito male – secondo la recente sentenza della Cassazione – al momento della morte del coniuge proprietario di un bene immobile con la specifica “in comunione de residuo”, all’ altro coniuge non spetta automaticamente la proprietà di 1/2 del bene (oltre ad 1/3 della restante metà in qualità di erede e quindi complessivamente la quota di 4/6), ma solo la quota complessiva di 3/6 come erede, vantando semmai solamente un diritto di credito.
    In altre parole, nella dichiarazione di successione del coniuge proprietario di un bene immobile con la specifica “in comunione de residuo” andrebbe indicata la quota di 1/1 del bene e non di 1/2.
    E’ corretto questo ragionamento ?
    Grazie mille

    Rispondi
    • giacomo cappelliniGC dice

      Agosto 29, 2022 alle 9:51 am

      Buongiorno, è corretto il ragionamento. Fermo il fatto che non vi è alcuna specifica “in comunione de residuo”, ma, semmai, la partita iva del coniuge imprenditore. Il bene cade in successione per l’intero, ma il coniuge superstite ha un diritto di credito pari ad un mezzo del valore netto dell’azienda (nella quale è compreso il bene). Il detto diritto di credito non ha titolo successorio.

      Rispondi
      • Albertino dice

        Agosto 29, 2022 alle 10:51 am

        Grazie per la cortese risposta.
        Il dubbio mi è venuto perché sto predisponendo una dichiarazione di successione ed in visura il defunto risultava proprietario di un terreno con la seguente annotazione “Diritto di: Proprieta’ 1/6 comunione de residuo” .
        Mi chiedevo allora se indicare in successione la quota di 1/6 oppure di 1/12, ma la sentenza delle Sezioni Unite – parlando di natura creditizia del diritto – ha chiarito il mio dubbio.
        Buona giornata.

        Rispondi
        • giacomo cappelliniGC dice

          Agosto 29, 2022 alle 11:01 am

          Andrebbe controllato il titolo di provenienza di codesta quota di 1/6. Comunque la soluzione che propone (seguire il più recente orientamento delle S.U.) è corretta.

          Rispondi

Trackback

  1. le quote di eredità nella successione legittima - Giulio Cesare ha detto:
    Aprile 23, 2020 alle 9:51 am

    […] IMPORTANTE POI VALUTARE L’INCIDENZA DEL REGIME PATRIMONIALE SCELTO DALLA COPPIA AL FINE DELLA COMUNIONE DE RESIDUO. […]

    Rispondi

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