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caparra, clausola penale, clausola risolutiva e condizione d’inadempimento

Gli istituti a tutela del vincolo contrattuale. Caparra, clausola risolutiva, clausola penale, condizione di inadempimento.

Marzo 10, 2020 by GC Lascia un commento

LE TUTELE CONTRATTUALI DELLA PARTE DILIGENTE

Rapporti tra caparra confirmatoria, clausola penale, clausola risolutiva espressa e condizione risolutiva di inadempimento. Similitudini, differenze e limiti.

Per sciogliere il vincolo contrattuale non occorre sempre adire l’autorità giudiziaria ( art. 1453 c.c.). Le parti, infatti, oltre che convenire la risoluzione consensuale dell’accordo (mutuo consenso o dissenso), possono già aver previsto nel medesimo contratto strumenti di “auto tutela” in previsione dell’inadempimento di una di esse.

La legge prevede espressamente alcuni istituti che costituiscono una deroga allo scioglimento per via giudiziale, poiché, se previsti, l’intervento del giudice, quando richiesto, sarà di accertamento di un effetto risolutorio che si è verificato a prescindere, proprio in virtù della clausola contrattuale introdotta dalle parti.

Si tratta delle ipotesi di risoluzione stragiudiziale, come la diffida ad adempiere ( art. 1454 c.c.), il termine essenziale ( art. 1457 c.c.), la clausola risolutiva espressa ( art. 1456 c.c.) e la caparra confirmatoria ( art. 1385 c.c.), ma anche la condizione di adempimento che, però, non tanto risolve il contratto quanto lo elimina.

Fermo il fatto che in virtù del contratto preliminare, ove le parti assumono, appunto, l’obbligo di concludere un successivo contratto, la parte “non inadempiente” può sempre e comunque rivolgersi al giudice al fine di ottenere una sentenza che tiene luogo del rogito definitivo. E’ questa la “esecuzione in forma specifica” del contratto preliminare prevista dall’art. 2932 c.c. attuabile in presenza di alcuni requisiti del contratto stesso, anche in relazione all’oggetto del contratto definitivo (es. nel caso sia un contratto preliminare di compravendita di un bene immobile occorrerà aver avuto cura di inserire nel contratto le prescrizioni urbanistiche del bene).

LE CLAUSOLE CONTRATTUALI

Partendo da una riflessione di carattere empirico, preme sottolineare che tutte le volte in cui al momento della conclusione del contratto, si preveda la corresponsione di una somma di denaro, la corretta qualificazione di detto esborso comporta conseguenze diverse.

La caparra confirmatoria

E’ la forma di autotutela maggiormente utilizzata in sede di stipula di un contratto preliminare di compravendita.

Corrisposta la caparra (confirmatoria) – che è un contratto reale e pertanto per la sua giuridica esistenza occorre la “materiale” consegna della somma di denaro (datio rei) e non la promessa della stessa (ndr: la giurisprudenza ammette però la c.d. “promessa di caparra”) – la parte adempiente potrà reagire all’inadempimento della controparte, nei seguenti modi:

– o recedendo dal contratto (recesso inteso pur sempre come una particolare forma di risoluzione per inadempimento) e trattenendo la caparra ricevuta o esigendo il doppio di quella data (in tale ipotesi la richiesta è irrevocabile e non si può più chiedere all’altra parte di adempiere agli obblighi assunti o la risoluzione con diritto al risarcimento del danno). Questo recesso di autotutela è, a tutti gli effetti, un’ipotesi di risoluzione stragiudiziale del contratto, come precisato dalla giurisprudenza.

−  o richiedendo l’adempimento con rinuncia ad avvalersi della caparra, salvo il diritto al risarcimento dei danni effettivamente subiti (in questo caso la richiesta di adempimento può comunque essere revocata, sia nel senso della richiesta della risoluzione sia nel senso della richiesta del recesso con conseguente riscossione della caparra);

−  o richiedendo la risoluzione dell’accordo ex art. 1453 c.c., con diritto al risarcimento del danno (che può essere stato predeterminato mediante la previsione di una clausola penale). Quest’ultima scelta preclude una eventuale successiva richiesta di adempimento (art. 1453 secondo comma c.c.).

La caparra rappresenta, dunque, un forma di autotutela (visto che il trattenimento della caparra, o la richiesta del doppio, a seconda della parte inadempiente, è accompagnato dalla richiesta di recesso).

Le funzioni della caparra confirmatoria sono:

  • liquidazione preventiva e forfettaria del danno in quanto, in caso di recesso, il danno che deriva alla parte adempiente è prequantificato dalle parti con riferimento alla somma ricevuta o data;
  • garanzia per l’adempimento della futura obbligazione risarcitoria di valuta, conseguente alla liquidazione dei danni ad opera dei giudice, nel caso in cui la parte adempiente, invece di esercitare il diritto di recesso, con le conseguenze già viste (ritenzione della caparra senza necessità che si provi il danno, basta che l’inadempimento sia definitivo e grave), opti per la risoluzione giudiziale, chiedendo l’integrale risarcimento del danno patito: il tal caso la somma incassata come caparra fungerà da acconto per l’obbligazione risarcitoria (per la quale, però, vi è necessità di provare il danno subito);
  • deflazione del contenzioso: questa funzione è fondamento della ragione per la quale, una volta chiesta la risoluzione giudiziale del contratto ed il risarcimento (da quantificarsi in via giudiziale) del danno, non è più possibile optare per il recesso e ritenzione della caparra. Senza tale preclusione chiunque sarebbe incentivato a promuovere il giudizio risolutorio spinto dalla considerazione che, anche nel caso in cui non si riuscisse a dimostrare il danno, comunque avrebbe diritto alla caparra per l’importo già fissato (ma parte della dottrina ammette la richiesta di risoluzione successiva);
  • garanzia dell’esecuzione delle obbligazioni assunte nel contratto;
  • se vi è adempimento, la caparra si trasforma in acconto, quale anticipata esecuzione parziale della prestazione.

Per la giurisprudenza, nel dubbio sulla effettiva volontà delle parti, l’anticipo versato dalla parte promissaria acquirente va qualificato come acconto e non come caparra confirmatoria, perché non si può presumere che le parti si siano assoggettate, tacitamente, ad una “pena” civile.

Cassazione, ordinanza 17 marzo 2020, n. 7340, sez. V: “La  caparra  confirmatoria  risponde  ad autonome  funzioni:  oltre  a  costituire,  in generale, indizio della conclusione del contratto cui accede, incita le parti a darvi esecuzione, considerato che colui che l’ha versata potrà perdere la relativa somma e la controparte potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile;

può svolgere, inoltre, funzione di anticipazione del prezzo, nel caso di regolare esecuzione del contratto preliminare,  costituendo, invece, un risarcimento forfettario in caso d’inadempimento di questo, poiché il suo versamento dispensa dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte, salva la facoltà di richiedere il risarcimento del maggior danno. Nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell’imposta, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4.”

La giurisprudenza tollera la “promessa di caparra” (come promessa di contratto reale, oggi ammessa, come la promessa di mutuo) purché la dazione sia prevista prima della stipulazione del definitivo.

Le somme corrisposte a titolo di ACCONTO prezzo

Le facoltà sopra illustrate spettano alle parti solo se nel preliminare è stata prevista una caparra confirmatoria.

Tali facoltà sono escluse, invece, se le somme corrisposte sono state qualificate come a titolo di acconto. In questo caso, infatti, le somme versate costituiscono un adempimento parziale e non svolgono quella duplice funzione di preventiva liquidazione del danno per il caso di inadempimento ovvero di anticipato parziale pagamento per il caso di adempimento, tipica invece della caparra confirmatoria. In caso di risoluzione dell’accordo, dunque, la somma ricevuta a detto titolo andrà restituita, fermo il diritto di ottenere il risarcimento del danno.

Se, invece, la somma corrisposta è imputata a titolo di cauzione o deposito, la stessa rappresenta una “garanzia” e non può essere incamerata dal garantito né svolge la funzione di liquidazione convenzionale del danno propria della caparra. Il depositario sarà un terzo (di solito agenzia immobiliare o Notaio, il quale sarà tenuto all’iscrizione delle somma ricevuta in un apposito registro (somme e valori) dal quale staccherà una ricevuta da consegnare alla parte avente diritto. Inoltre, il pubblico ufficiale comunicherà l’avvenuto deposito alle autorità competenti (prefettura)).

La caparra penitenziale

In questo caso la somma versata costituisce il corrispettivo per l’esercizio della facoltà di recesso convenzionale che sia stata eventualmente riconosciuta ad una delle parti (se il recesso verrà esercitato da chi ha versato la caparra, l’altra parte potrà trattenere la caparra stessa; se invece a recedere sarà l’altra parte, questa dovrà versare il doppio della caparra ricevuta) (art. 1386 c.c.).

In questo caso non si reagisce, dunque, ad un inadempimento, ma si prevede in contratto che le parti si possano sciogliere dal vincolo anche nel caso in cui non si verifichi inadempimento.

Nel caso, cioè, una di esse perda interesse alla conclusione del contratto definitivo o alla prosecuzione del rapporto contrattuale, potrà scioglierlo perdendo la caparra (penitenziale) corrisposta o versando alla controparte il doppio della caparra ricevuta.


Rimane, al pari della caparra confirmatoria, una pattuizione di natura reale (ovvero la somma va corrisposta al momento della conclusione del contratto e non successivamente).

La clausola penale

La clausola penale, a differenza dalla caparra, non prevede la consegna di denaro (o di cose fungibili), essendo solo fonte di obbligazioni (al momento dell’inadempimento sorgerà un credito a favore della parte non inadempiente).

Si prevede, infatti, che verificandosi un inadempimento, la parte che l’ha causato sia tenuta ad una certa e delimitata prestazione (che non sarà soggetta alla quantificazione da parte del giudice), mentre la parte adempiente non dovrà nemmeno provare il danno subito.

La prestazione che sarà dovuta a titolo di penale non può consistere nel trasferimento della proprietà di un bene determinato per contrarietà al divieto di patto commissorio (Art. 2744 C.C.).

Potendo essere prevista in contratto sia una una caparra confirmatoria che una clausola penale, quest’ultima avrà la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte non inadempiente preferisca richiedere l’esecuzione del contratto o la risoluzione ordinaria anziché recedere e trattenendo (o richiedendo) la caparra ai sensi dell’art. 1385 c.c.

Anche la clausola penale serve dunque per liquidare anticipatamente e forfettariamente il danno conseguente all’inadempimento o al ritardo ( a prescindere, si ripete, dalla prova e dall’assenza dello stesso).

Per quanto attiene all’importo della penale, questo può essere anche eccessivamente elevato, salvo il potere del giudice, ai sensi dell’art. 1384 c.c., di diminuirlo, se effettivamente sproporzionato, secondo equità e, dunque, senza che ci sia una precisa correlazione tra danno effettivamente subito e riduzione della penale medesima, poiché la penale non ha natura di risarcimento ma, piuttosto, di pena privata.

Rappresentando un incentivo all’adempimento, la somma pattuita quale penale dovrà essere perlomeno superiore al presumibile danno emergente che deriverebbe dall’inadempimento, altrimenti non svolgerebbe la detta funzione e anzi sarebbe un indice di mancanza di volontà nell’accordo.

Pertanto è valida la clausola penale pura che limita l’azione ordinaria risarcitoria ai soli casi di inadempimento per colpa lieve, ma è nulla la penale di importo irrisorio, che impedisce alla parte di domandare l’integrale risarcimento del danno in presenza di inadempimento volontario o per colpa grave.

Inoltre le parti possono convenire la risarcibilità del danno ulteriore rispetto all’importo fissato come penale: il contraente, in tal caso, può scegliere di adire la via giurisdizionale per ottenere l’integrale risarcimento del danno, provando però le conseguenze dannose.

A differenza della caparra, se la clausola penale è pura, ovvero non si prevede la risarcibilità del danno ulteriore, essa non consente la scelta tra la somma oggetto della penale e il danno ulteriore ( art. 1382 c.c.), essendo predeterminata la somma da corrispondere per tale evenienza.

Vi è anche la possibilità di prevedere la clausola penale anche per il ritardato adempimento ( art. 1382 c.c.), ritardo che altrimenti comporterebbe un inadempimento lieve (che nessuna rilevanza ha nel caso di caparra confirmatoria, salvo che non ci sia un termine essenziale o che lo stesso non si protragga oltre ogni limite di tolleranza).

In caso sia previsto in contratto un “termine essenziale” per la l’esecuzione della prestazione (es. la stipula del contratto definitivo), qualora la parte non inadempiente non comunichi all’altra parte, entro tre giorni, che vuole esigere comunque l’esecuzione del preliminare, lo stesso si intende risoluto di diritto.

La clausola risolutiva espressa

La clausola risolutiva espressa permette lo scioglimento del contratto anche per ipotesi di inadempimento che, pur se oggettivamente di scarsa importanza, sono specificatamente indicate nel contratto quali cause di risoluzione del medesimo.

La clausola permette, dunque, di sciogliere il vincolo in presenza di un inadempimento considerato “come grave dalle parti”.

Il detto meccanismo non opera automaticamente al verificarsi dell’inadempimento, ma necessita della dichiarazione di volerne profittare.

Pertanto, in questo caso, al fine di ottenere l’effetto estintivo del contratto, non vi sarà la necessità di procedere notifica della “diffida ad adempiere“ ovvero di quella intimazione scritta, fatta alla parte che si assume inadempiente, di adempiere alle obbligazioni pattuite entro un congruo termine, non inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che risulti congruo un termine minore, con la dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto si intenderà senz’altro risolto.

In questo caso, una volta decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto per causa imputabile ad una delle parti, questo è risolto di diritto, in conseguenza unicamente della dichiarazione della parte in cui favore la clausola è prevista.


Al pari della risoluzione giudiziale e delle altre ipotesi di risoluzione di diritto sopra citate, se la clausola in esame è utilizzata, la retroattività dello scioglimento del contratto è solo obbligatoria: le parti hanno diritto alle eventuali restituzioni, ma non sono pregiudicati i diritti dei terzi, salvi gli effetti della trascrizione (il terzo sarà pregiudicato solo se la trascrizione del suo acquisto è successiva alla trascrizione della domanda di risoluzione).

La condizione risolutiva d’inadempimento

La possibilità di subordinare o risolvere il contratto concluso all’adempimento o inadempimento di una delle parti (es. vendita condizionata al pagamento del prezzo), utilizzando cioè un meccanismo ad efficacia reale che operi senza intervento del giudice e, dunque, automaticamente travolgendo i diritti acquistati dai terzi, è stato oggetto di disputa dottrinaria.

L’evento dedotto in condizione deve infatti essere incerto, estrinseco e accidentale e tali caratteristiche non può avere l’adempimento che, anzi, è atto dovuto e rientra nella causa medesima del contratto.

La conclusione di un contratto sotto la condizione sospensiva di adempierlo (quale evento futuro ed incerto) non rappresenterebbe una seria volontà di obbligarsi, anche perché la condizione (sospensiva) sospende gli effetti del contratto medesimo e, dunque, non vi sarebbe alcuna parte obbligata.

Stesse considerazioni nell’ipotesi in cui sia previsto che il contratto si risolva automaticamente al verificarsi dell’inadempimento (condizione risolutiva di inadempimento). Anzi, in detta ipotesi, alla luce delle considerazioni già sollevate sull’entità della clausola penale, nessuna conseguenza potrebbe farsi discendere al mancato grave adempimento di una delle parti: esonero “ preventivo” da responsabilità, vietato ai sensi dell’art. 1229 c.c.

Distinguendo il momento programmatico da quello esecutivo del vincolo, la giurisprudenza ha riconosciuto la validità del meccanismo condizionale anche per questa ipotesi: le parti non escludono l’adempimento (es. pagamento del prezzo) dalla causa del contratto, ma anzi intendono prevedere le conseguenze nel caso in cui detto adempimento non si realizzi.

L’adempimento è un fatto materiale e umano e come tale è di incerta realizzazione (perciò la legge prevede i rimedi avverso l’inadempimento).
Inoltre è un fatto esterno al contratto, inteso come programma contrattuale, e, dunque, un accadimento accidentale ed estrinseco.
Ne deriva che le parti, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., possono dedurre l’inadempimento in condizione, quale fatto storico.


Se si realizza la condizione risolutiva di inadempimento, gli effetti non possono che essere retroattivi.
Non si tratta di retroattività obbligatoria, ma reale, con soccombenza dei diritti dei terzi (a differenza della clausola risolutiva espressa e delle altre forme di risoluzione, giudiziale e di diritto).

La retroattività reale ha conseguenze anche tra le parti, poiché se il contratto è privato di effetti ab origine, non vi sarà alcun obbligo inadempiuto e, pertanto alcun danno da risarcire.

La parte adempiente sarebbe pertanto sciolta dal vincolo ma priva di tutela, dovendo, anzi, restituire o non avendo diritto di conseguire le somme che le siano state corrisposte o promesse.

In questa ipotesi, infatti, eventuali dazioni di denaro non potranno essere a titolo di caparra, né potrà essere prevista una penale proprio per la mancanza di un obbligo attuale (condizione sospensiva di adempimento) o per la retroattività del meccanismo condizionale (condizione risolutiva di inadempimento).

Al fine di lasciare alla parte adempiente (es. la parte venditrice) la scelta fra lo scioglimento dal vincolo senza conseguenze o la possibilità di essere risarcita dall’eventuale inadempimento, occorre allora strutturare la condizione come unilaterale, ovvero posta nell’interesse unicamente della parte medesima, e, perciò, dalla stessa rinunciabile; oppure prevedere, in favore della stessa parte, un’opzione di contratto avente il medesimo oggetto ma non condizionato.
Il contraente beneficiario della condizione ha così il potere di rinunciare alla condizione, permettendo all’accordo di produrre gli effetti a prescindere dal suo adempimento, oppure può esercitare il diritto di opzione e provocare la conclusione del contratto non condizionato con i relativi rimedi in caso di inadempimento (in questo ultimo caso però non si potrà strettamente giovare dell’effetto prenotativo della trascrizione del contratto se questo abbia ad oggetto beni immobili).

La facoltà di rinuncia della condizione permette di escludere esoneri preventivi di responsabilità e che la condizione risolutiva di inadempimento sia qualificabile come meramente potestativa e dunque nulla (ai sensi dell’art. 1355 c.c.).

Profili fiscali

Quanto ai profili fiscali si evidenzia che in sede di registrazione del contratto è dovuta un imposta di registro pari:

  • allo 0,50% delle somme previste a titolo di caparra confirmatoria
  • al 3% delle somme previste a titolo di acconto sul prezzo di vendita

Nel caso in cui il contratto sia soggetto a condizione sospensiva viene applicata l’imposta di registro in misura fissa (200 Euro) salvo poi corrispondere la relativa imposta entro 20 giorni dall’avveramento della condizione sospensiva (pagamento o adempimento).

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