La separazione personale costituisce la causa più ricorrente di scioglimento del regime patrimoniale di comunione legale dei beni tra coniugi.
Ma, in tal caso, da quale momento può dirsi sciolto il regime patrimoniale legale e, dunque, riacquistata l’autonomia patrimoniale di ciascun coniuge?
L’individuazione del momento produttivo dello scioglimento della comunione legale dei beni tra coniugi ha, infatti, incidenza diretta sul piano della libertà negoziale dei coniugi durante il periodo di separazione personale.
Il soggetto coniugato, ma ormai separato, ha tutto l’interesse a che non sia ulteriormente implementata la massa dei beni caduti in comunione legale per acquisti già compiuti durante il matrimonio; massa che, se formatasi, dovrà essere divisa, essendo la separazione personale “titolo” per la relativa divisione.
Si colgono immediatamente due diverse prospettive, a nostro avviso non già sufficientemente messe in evidenza:
- quella dello scioglimento del regime patrimoniale legale inteso come disapplicazione delle regole di amministrazione proprie di detto regime, regole che riguardano i beni compresi nella comunione (legale) già formatasi;
- quella relativa al carattere programmatico del regime patrimoniale legale, ovvero la forza attrattiva del medesimo tendente ad implementare la detta comunione tra coniugi.
Detti aspetti possono trovare discipline differenti in conseguenza del relativo momento “patologico” rappresentato dalla separazione personale.
Il tema, poi, ha incidenza anche sul regime dei beni già destinati all’esercizio dell’impresa da parte di uno dei coniugi vigente detto regime patrimoniale, riguardando il momento di formazione della c.d. “comunione de residuo”.
Fino dall’indomani della riforma del diritto di famiglia si sono succedute svariate opinioni in proposito dovute alla circostanza che l’art. 191 c.c. faceva riferimento solamente alla causa dello scioglimento del regime, senza indicare quando detta causa doveva considerarsi operante.
Alcune di dette tesi dottrinarie se da un lato paiono non mettere adeguatamente in risalto le differenze tra lo scioglimento del regime legale tra le parti (i coniugi) e il momento di opponibilità dello scioglimento medesimo ai terzi, dall’altro non sembrano valutare la natura dello stesso regime patrimoniale legale in un’ottica complessiva, che tenga, quindi, debitamente conto del modo di operare del medesimo in ragione degli interessi coinvolti.
Altre, invece, sembrano aver statuito determinate conclusioni solo perché di più semplice rilevazione, piegando allo scopo orientamenti giurisprudenziali spesso mal riportati.
Fra le dette opinioni hanno trovato conferma legislativa (in ragione della recente modifica all’art. 191 c.c.) quelle ascritte alla Dottrina maggioritaria, che si è preoccupata di dare rilevanza al nuovo assetto coniugale così come voluto dai coniugi medesimi ed appena possa dirsi maturata la scelta dei medesimi di separarsi legalmente.
Tale momento sarà dunque il dies a quo per la produzione di effetti (quello del riacquisto dell’autonomia patrimoniale di ciascun coniuge) che presuppongono comunque l’accoglimento della domanda di separazione. Ciò perché alla fine vi sia una causa di scioglimento rilevante anche per i terzi (ed opponibile agli stessi nelle forme che vedremo); causa che, appunto, è destinata a retroagire al momento in cui per i coniugi deve ritenersi formalmente conclusa la comunanza di vita e di interessi patrimoniali.
Da tale “evento”, del tutto familiare, ovvero interno alla coppia, si crea, secondo detta Dottrina, una situazione del tutto «incompatibile con la prosecuzione di un regime legale di comunione patrimoniale automatica».
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Non ci si è spinti, però, fino ad accogliere la tesi anche di chi attribuisce diretta rilevanza alla SEPARAZIONE DI FATTO.
Fra questi Autori, BARBIERA (La comunione legale, 1996, p. 584 s.) ritiene che è proprio la convivenza a svolgere un ruolo primario all’interno del complesso di fattispecie (la morte, la morte presunta e l’assenza, nonché il divorzio e la separazione personale) che appaiono aver come minimo comun denominatore proprio il cessare del precedente stato di fatto, concludendo che «data l’inclusione della separazione personale fra le cause di scioglimento, gli effetti dello scioglimento, con l’instaurazione della fase intermedia fra scioglimento e divisione, debbono considerarsi, almeno nel rapporto fra coniugi, come verificati contestualmente al venir meno della convivenza, indipendentemente dall’accertamento processuale di questo evento».
Lo stesso Autore ritiene però che tale causa di scioglimento potrebbe valere solo tra i coniugi, non essendo la separazione di fatto suscettibile di pubblicità.
Così secondo L. ROSSI CARLEO (Cause di scioglimento, p. 890) la separazione di fatto non determina automaticamente lo scioglimento della comunione, ma può assumere una rilevanza eventuale ex post in quanto può essere fatta valere in giudizio al momento della richiesta dell’altro coniuge e dei suoi eredi.
Al riguardo notevoli sono le considerazioni di FRANCESCHELLI (La separazione di fatto, Giuffrè, Milano, 1978, p. 229 ss.) secondo il quale la separazione di fatto si limiterebbe a far cessare tra le parti gli effetti della comunione legale, senza poter essere opponibile ai terzi che, in mancanza di una forma di pubblicità, continuerebbero a fare affidamento sulla sussistenza del regime patrimoniale legale. Invero – considerato che, tra le parti, i periodi di separazione di fatto possono, da una parte, essere difficilmente distinti da semplici allontanamenti per litigi o altre ragioni obiettive, e, dall’altra, individuati con certezza quanto al dies a quo ed alla loro durata – deve privilegiarsi la soluzione indiscriminatamente negativa, tanto più che, una volta ritenuta la tassatività delle ipotesi di scioglimento, appare impossibile attribuire alla nozione di «separazione personale», di cui all’art. 191 c.c., un significato diverso da quello contenuto nell’art. 150 c.c., che fa riferimento solo alla separazione giudiziale o consensuale.
Si veda poi P. SCHLESINGER (Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di L. CARRARO-G. OPPO-A. TRABUCCHI, cit., vol. I, p. 442) il quale, partendo dalla premessa secondo cui la permanenza del regime di comunione legale in seguito a separazione di fatto esporrebbe i coniugi al rischio di assurde rivendicazioni economiche, anche a distanza di molti anni, pone però l’interrogativo in ordine alla compatibilità tra una simile soluzione e, da una parte, la mancata previsione di adeguata pubblicità per l’opponibilità ai terzi, e, dall’altra, «il rischio di facili liti per la determinazione del momento in cui un semplice distacco o lontananza si sono trasformati in una vera separazione, con conseguente cessazione del regime di comunione». L’Autore conclude auspicando, pertanto, un chiarimento legislativo.
Per la maggioranza della Dottrina la separazione di fatto è comunque da ritenersi irrilevante ai detti fini per il decisivo rilievo che ex art. 158 c.c. la separazione dei coniugi, se consensuale, non ha effetto senza l’omologazione del giudice, laddove le previsione dell’art. 3, n. 2, lett. b), l. div. avrebbe carattere eccezionale. Proprio l’eccezionalità di tale disposizione, si sostiene, «conferma, a contrario, la normale irrilevanza della separazione di fatto; il che è del resto, conforme al principio per cui le modificazioni, in genere, degli status personali, come quella che consegue alla separazione, devono essere certe, e nessuna certezza può dare, per i terzi, ma anche per i coniugi stessi, la separazione di fatto».
Al riguardo potrebbe obiettarsi che la riconciliazione tra i coniugi, intesa quale “fatto”, se intervenuta durante la “fase della separazione personale”, determina ex nunc l’automatica ricostituzione del regime patrimoniale legale, senza essere supportata da nessuna certezza, soprattutto per i terzi.
Così per Cass. civ. Sez. I, 12.11.1998, n. 11418: “La riconciliazione, intervenuta tra coniugi separati, fa cessare con effetto “ex nunc” tutti gli effetti della separazione, sia personali che patrimoniali, con il conseguente ripristino del regime della comunione dei beni esistente in origine tra i coniugi, venuto meno in seguito al provvedimento di separazione.”, in Corriere Giur., 1999, 190 nota di SCHLESINGER oppure in Foro It., 1999, I, 1953 nota di NICOLUSSI.
La riconciliazione (artt. 154 e 157 c.c.) può dunque ricostruirsi ala stregua di un vero e proprio negozio giuridico, concluso mediante accordo espresso o per facta concludentia, che, in quanto tali, operano a prescindere da una loro estrinsecazione formale.
Ma la ragione per la quale a detto fatto (la riconciliazione) può essere ascritta una valenza differente al fatto della cessazione della convivenza può ricercarsi nel favor del legislatore per le manifestazione – anche implicite – di perdono (si veda la riabilitazione dell’indegno in tema successorio) e per le incertezze cui darebbe luogo, sul piano pratico, la determinazione del momento esatto in cui lo scioglimento avrebbe avuto luogo: la riconciliazione presuppone un comportamento non equivoco di entrambi i coniugi, laddove, anche un semplice abbandono unilaterale potrebbe rischiare di essere inteso come una fattispecie rilevante ai sensi dell’art. 191 c.c.
Da quanto sopra esposto pare già indubbiamente affiorare l’esigenza di far cessare gli effetti della comunione legale non appena la situazione di fatto della coppia sia mutata in conseguenza di una determinazione dagli stessi condivisa.
Non vi è chi non veda come il regime della comunione legale dei beni, “delineato per il periodo di perfetta vigenza del matrimonio e di conseguente armonia che nello stesso si presuppone, mal si adatta ad una situazione completamente diversa, quale è quella di due coniugi che abbiano dato inizio ad un procedimento di separazione”, i quali hanno evidentemente un particolare interesse a non essere più legati da vincoli di solidarietà e, nel contempo, liberati dal regime legale della comunione dei beni. (così
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Tale esigenza è stata colta dalla DOTTRINA e GIURISPRUDENZA DI MERITO in quello che può dirsi l’orientamento MAGGIORITARIO.
Per dottrina maggioritaria gli effetti estintivi discendenti dalla separazione personale dovevano essere fatti retroagire ad un momento antecedente al passaggio in giudicato della pronuncia di separazione giudiziale o all’omologa di quella consensuale. Momento che, per evitare gli inconvenienti non solo pratici dei quali si è dato conto, deve essere precisamente individuato.
Così P. SCHLESINGER, argomentando dal disposto dell’art. 146, c. 2°, c.c., attribuisce alla domanda giudiziale di separazione il valore di giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare e conclude che il nuovo assetto coniugale è «incompatibile con la prosecuzione di un regime legale di comunione patrimoniale automatica».
(Nello stesso senso: F. CORSI, Il regime patrimoniale, p. 178; F. SANTOSUOSSO, Delle persone e della famiglia, cit., p. 299; P. ZATTI-M. MANTOVANI, La separazione personale, Cedam, Padova, 1983, p. 293; M. GIONFRIDA DAINO, La posizione dei creditori, cit., p. 184; U. MAJELLO, voce Comunione dei beni, p. 9; G. INGINO, Gli effetti dello scioglimento, cit., p. 321; A. CECCHERINI, Crisi della famiglia, p. 90; R. DOGLIOTTI, Lo scioglimento della comunione dei beni tra coniugi: presupposti e caratteri, in Dir. famiglia, 1990, vol. II, p. 265; M. DOGLIOTTI, Separazione e divorzio, II ed., Utet, Torino; F. MASTROPAOLO-P. PITTER, Commento all’art. 186, p. 309 e Commento agli artt. 191-197, cit., p. 307 ss.; F. ANELLI, Il matrimonio, p. 195; G. GENNARI, Lo scioglimento della comunione legale, cit., p. 394).
“Lo scioglimento del regime patrimoniale retroagisce al momento della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio (o del suo deposito in Cancelleria in caso di separazione consensuale richiesta congiuntamente dai coniugi), e ciò per l’esigenza di evitare la vigenza della comunione legale anche in seguito alla cessazione della convivenza coniugale.”
A tal fine, si argomenta ora nel senso dell’implicita richiesta di separazione giudiziale dei beni nel contesto della domanda di separazione personale (così G. GABRIELLI, I rapporti patrimoniali, p. 200), ora sulla base dell’applicabilità analogica dell’art. 193, c. 4°, c.c., ora, invece, alla luce del principio generale secondo cui la durata del processo non può risolversi in pregiudizio dei diritti acquisiti con la proposizione della domanda giudiziale.
Ad avviso di GENNARI (Lo scioglimento della comunione, cit., p. 394):
«Non sembra che l’intenzione legislativa possa essere stata quella di conservare lo stato di comunione legale tra due coniugi, il cui rapporto sia definitivamente compromesso, per il periodo, come si sa non certo breve, necessario alla definizione del procedimento di separazione. Diversamente opinando si rischia di arrivare all’assurdo per cui, pendente il giudizio, nessuno dei coniugi si azzarderebbe ad acquistare niente per il timore, più che fondato, che poi quell’acquisto finisca pure con il ricadere a vantaggio dell’altro coniuge con il quale non si vorrebbe spartire più nulla».
A sostegno della tesi che fa retroagire gli effetti della pronuncia di separazione al momento della proposizione della domanda, che si fa coincidere con la notifica del ricorso introduttivo nel caso di separazione giudiziale e con il suo deposito in cancelleria nel caso di separazione consensuale, sono stati indicati due argomenti:
- In primo luogo l’estensione per analogia dell’art. 193, comma quarto, c.c., il quale stabilisce che «gli effetti della sentenza di separazione giudiziale dei beni retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda»;
- In secondo luogo, la norma dell’art. 146, comma secondo, c.c. che consente l’allontanamento dalla residenza familiare al momento della proposizione della domanda, per cui non appare ragionevole che la comunione legale prosegua nonostante il possibile allontanamento di uno dei coniugi.
Altri Autori, poi, hanno ritenuto che nella domanda maggiore (quella, cioè di separazione) sia implicita la domanda minore, di scioglimento della comunione, il cui contenuto costituisce una delle conseguenze dell’accoglimento della prima.
Comunque, la soluzione della Dottrina maggioritaria non attribuisce alla presentazione della domanda né tanto meno al provvedimento presidenziale, dignità di autonoma causa di scioglimento della comunione, bensì semplice valenza di dies a quo per la produzione di effetti che presuppongono sempre l’accoglimento della domanda di separazione, perché alla fine vi sia una causa di scioglimento (la sentenza) che possa retroagire alla data di presentazione della domanda.
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La giurisprudenza di merito accoglie la “retrodatazione” e, anticipando la soluzione adottata con la riforma del 2015, statuisce che la cessazione del regime si ha a partire dall’emanazione dei provvedimenti temporanei ed urgenti del Presidente del Tribunale
Così Trib. Torino, 11 febbraio 1983, in Dir. famiglia, 1985, I, p. 974 ss.; Trib. Milano, 22 maggio 1985, in Dir. famiglia, 1985, I, p. 974 ss., con nota adesiva di G. NAPPI, Osservazioni in merito allo scioglimento della comunione legale: secondo tale pronuncia, tuttavia, l’effetto estintivo si produrrebbe soltanto tra i coniugi, ma non sarebbe opponibile ai terzi in mancanza di un adeguato sistema di pubblicità del provvedimento presidenziale; Trib. Genova, decr. 17 luglio 1986, in Dir. famiglia, 1988, I, p. 256 ss., con nota adesiva di A. BARENGHI, Sull’idoneità dell’ordinanza presidenziale, nel procedimento di separazione tra coniugi, a produrre lo scioglimento della comunione legale dei beni (una nuova lettura nella giurisprudenza di merito dell’art. 191 c.c.); Trib. Milano, 20 luglio 1989, cit., con nota adesiva di G. NAPPI, Sullo scioglimento del regime di comunione legale tra i coniugi; Trib. Ravenna, 17 maggio 1990, in Giust. civ., 1991, I, c. 209, con nota critica di M. FINOCCHIARO, e in Rass. dir. civ., 1991, p. 953 ss., con nota adesiva di F. CIPRIANI; Trib. Roma, 14 dicembre 1994, in Gius, 1995, p. 352; C. app. Genova, 10 novembre 1997, in Dir. famiglia, 1999, p. 106 ss.; C. app. Genova, 1° ottobre 1998, in Famiglia e diritto, 1999, p. 147.
Così Trib. Ravenna, 17 maggio 1990 afferma che il regime di comunione legale si scioglie con la pronuncia, da parte del Presidente del Tribunale, dell’ordinanza ex art. 708 c.p.c., che autorizza i coniugi a vivere separati: “L’idoneità di tale provvedimento a determinare lo scioglimento della comunione si giustificherebbe sia in virtù della rilevanza giuridica, attribuita alla pronuncia presidenziale per la decorrenza di altri effetti connessi alla separazione personale, sia in considerazione dell’ultrattività del provvedimento stesso, la cui efficacia – secondo la previsione dell’art. 189, disp. att., c.c. – sopravvive anche all’estinzione del procedimento.”
Accolgono l’opinione secondo cui lo scioglimento della comunione legale si sarebbe determinato a seguito del provvedimento presidenziale di cui all’articolo 708 del Cpc che avesse autorizzato i coniugi a vivere separati: Corte d’appello di Genova, 1° ottobre 1998, in «Famiglia e diritto», 1999, 147; Corte d’appello di Genova 10 novembre 1997, in «Diritto di famiglia», 1999, 106; tribunale di Ravenna, 17 maggio 1990, in «Giustizia civile», 1991, I, 209; tribunale di Milano, 20 luglio 1989, in «Diritto di famiglia», 1990, 161; tribunale di Genova, 17 luglio 1986, in «Diritto di famiglia», 1988, 256
Ritiene invece che gli effetti dello scioglimento del regime di comunione legale dei beni conseguente alla separazione personale dei coniugi non decorrano dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ma debbano comunque retroagire non già al momento dell’udienza presidenziale di cui all’articolo 708 del Cpc , bensì alla data di proposizione della domanda di separazione: App. Roma, 4 marzo 1991, in Giust. civ., 1991, I, p. 2444; in Riv. notar., 1991, p. 1402 e Trib. Milano, 20 luglio 1995, in Fam. dir., 1996, p. 263, con nota di SCHLESINGER:
secondo tale ultima decisione, premesso che lo scioglimento della comunione legale può solo conseguire ex art. 191 c. c., ad una pronuncia definitiva di separazione, «è pur tuttavia legittimo affermare che gli effetti di detto scioglimento retroagiscono ad una data anteriore, che si ravvisa non nell’udienza presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c., bensì in quella antecedente della proposizione della domanda di separazione».
Pertanto, il Giudicante così conclude: “l’effetto dello scioglimento della comunione legale dei coniugi, che ha luogo col passaggio in giudicato della sentenza di separazione, si produca(e) sin dalla pronuncia dell’ordinanza ex art. 708 cpc che autorizza i coniugi a vivere separati, proprio perché le predette disposizioni riconducono a quel momento il verificarsi di effetti altrettanto (o ancor più) incisivi nella vita della coppia proprio sul sul presupposto della cessazione effettiva della convivenza.”.
(Come ivi riportato: Il caso trattato dal Giudice riguardava due coniugi in regime patrimoniale di comunione legale dei beni, che si già erano separati. Successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale dei coniugi, la moglie conveniva in giudizio il marito, per chiedere l’accertamento – avendo il marito, dopo la predetta sentenza, acquistato una serie di immobili e, quindi, persistendo la comunione legale, essi erano entrati a farvi parte – dell’appartenenza di detti beni a parte attrice nella misura del 50% e, con riferimento ad un immobile, acquistato e successivamente alienato dal marito, la corresponsione della metà del corrispettivo ricavato dalla compravendita (oltre interessi). Si costituiva in giudizio il marito, chiedendo il rigetto della domande attoree, motivando tale richiesta con le argomentazioni che lo scioglimento della comunione legale aveva effetto con decorrenza dal deposito del ricorso per separazione personale dei coniugi e che l’immobile, acquistato e poi alienato era frutto del suo esclusivo lavoro, con il quale aveva pagato integralmente il mutuo.).
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L’ORIENTAMENTO ATTRIBUITO ALLA CORTE DI CASSAZIONE:
La giurisprudenza di legittimità (Cassazione 12 gennaio 2012 n. 324; 10 giugno 2005 n. 12293; 27 febbraio 2001 n. 2844; 18 settembre 1998 n. 9325; 2 settembre 1998 n. 8707; 7 marzo 1995 n. 2652; 17 dicembre 1993 n. 12523; 11 luglio 1992 n. 8463; 29 gennaio 1990 n. 560) ha affermato che gli effetti dello scioglimento decorrono, con efficacia ex nunc, dal momento in cui diviene definitivo il decreto di omologa della separazione consensuale o in cui passa in giudicato la sentenza di separazione contenziosa, seguendo la regola generale che vale per ogni pronuncia costitutiva ed argomentando dalla circostanza che anteriormente sarebbe mancato un accertamento formale definitivo della cessazione dell’obbligo di convivenza e di reciproca collaborazione.
Tale conclusione si argomentava sia per l’assenza di qualunque riferimento testuale a una retrodatazione degli effetti, (a differenza di quanto previsto dall’articolo 193, comma 4, c.c. ipotesi di separazione giudiziale), che dai lavori preparatori della riforma del diritto di famiglia, dai quali venne espunta la possibilità di ancorare la cessazione del regime di comunione legale, al provvedimento presidenziale che autorizzava a interrompere la convivenza.
In sostanza, la Suprema Corte riteneva che la comunione legale dei beni continuasse a sussistere anche successivamente alla promozione del giudizio di separazione (con il deposito del ricorso), statuendo: “L’espressione usata dal legislatore non è chiara, potendo far credere che la separazione (come le altre cause indicate) produca automaticamente lo scioglimento. … Lo scioglimento opera dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, con efficacia ex nunc. Analogo effetto deve riconoscersi al decreto di omologazione della sentenza consensuale, quando lo stesso non sia più soggetto a reclamo. …“
Detta soluzione che è stata più volte commentata come “insoddisfacente”, poiché “non (teneva) in adeguata considerazione la tempistica della procedura di separazione personale dei coniugi e l’interesse concreto dei coniugi a sciogliere quanto prima il vincolo della comunione legale dei beni, con connessa libertà di effettuare acquisti personali, “aprendo la via”, conseguentemente, – anche a distanza di svariati anni – a rivendicazioni e pretese, di natura economica, assai discutibili.“
Quanto sopra rende ancora più evidente il profilo discrasico con la realtà, nel momento in cui i coniugi si determinano a separarsi, nonché con la stessa ratio dell’istituto in esame, che ha il suo prodromo nella comunione di vita, intesa come condivisione di affetti e di interessi di natura patrimoniale, di due persone.
A quest’ordine di idee è stata ascritta anche un’ordinanza della Corte costituzionale (Corte cost., 7 luglio 1988, n. 795, in Foro it., 1989, I, c. 928; in Giur. cost., 1988, I, p. 3787; in Dir. fam. pers., 1988, p. 1218), la quale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.c., ha negato l’idoneità dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c. a determinare lo scioglimento della comunione, poiché dotati di carattere temporaneo.
La soluzione privilegiata dalle corti è, però, la più impopolare presso i coniugi che vengono a subire l’artificiosa ultrattività di un nesso patrimoniale del tutto insopportabile, quale quello della comunione legale, non più rispondente alla situazione di incompatibilità venutasi a creare e denunciata appunto con la proposizione della domanda relativa alla separazione personale.
“L’operatività della comunione nei termini proposti dalla Corte è svincolata dai suoi presupposti primigeni, colti nella distribuzione paritetica degli incrementi frutto dei rispettivi apporti: la condivisione del tetto e della mensa s’interrompe ben prima che la Cancelleria apponga il proprio timbro; basterebbe questa considerazione circa gli inconvenienti cui esso conduce per respingere l’orientamento prevalente in sede di legittimità. Le ragioni si compendiano nella incertezza sull’esito del procedimento la quale è bensì ineccepibile, ma solo sul piano formale: per ricomporre i cocci c’è sempre tempo, infischiandosene del calendario giudiziario, e dei depositi delle sentenze, cosicché la riconciliazione può in qualsiasi momento fare “punto a capo”. La predilezione per questo slittamento è, del resto, in linea con la concezione legislativa della separazione personale, chiaramente influenzata dalla considerazione della sua reversibilità tramite la riconciliazione (art. 157 c.c.).” così A. Fusaro in “Divisione e Comunione legale dei beni”.
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La soluzione del legislatore
La Legge 6 maggio 2015, n. 55, con l’art. 2, ha inserito nell’articolo 191 del codice civile, il seguente nuovo comma:
«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione».
Ferme restando le cause di scioglimento della comunione legale indicate nel comma 1 dell’articolo 191 , il legislatore stabilisce quindi in modo esplicito il momento in cui la comunione legale dei beni viene meno in caso di separazione personale, lasciandosi così alle spalle tutte le opzioni interpretative che – in assenza di una chiara indicazione normativa – si erano prospettate in giurisprudenza, circa l’individuazione dell’istante in cui potesse dirsi sciolto il regime della comunione legale dei beni.
La scelta compiuta dal legislatore con la legge n. 55 del 2015, si caratterizza senza dubbio per l’espressa valorizzazione del momento di insorgenza della crisi coniugale.
- In ipotesi di separazione consensuale la norma oggi espressamente stabilisce che la comunione legale tra i coniugi si scioglie «alla data» di sottoscrizione dei coniugi, dinanzi al presidente del tribunale, del processo verbale di separazione consensuale, a condizione che questo venga omologato.
(L’espresso riferimento alla «data di sottoscrizione» del verbale, ha reso manifesta l’intenzione del legislatore di retrodatare gli effetti del venir meno del regime patrimoniale legale tra coniugi fin da quel momento, non recependo pertanto l’opinione secondo cui lo scioglimento della comunione legale operasse ex nunc, e cioè solo al momento dell’emissione del decreto di omologazione dell’accordo (il quale viene ora ad atteggiarsi a condizione di efficacia dell’accordo di separazione consacrato nel verbale)).
- Nella stessa direzione si muove la scelta di prevedere espressamente che, in caso di separazione giudiziale, lo scioglimento della comunione legale decorra dall’emanazione dell’ordinanza presidenziale che autorizza i coniugi a vivere separati.
Si è dunque espressamente recepita l’esigenza (frequentemente manifestata) di evitare gli inconvenienti che su un patrimonio ancora comune, possano derivare dalla persistenza di un regime di comunione dei beni tra i coniugi tra i quali, pur non essendo intervenuta la sentenza di separazione, è in ogni caso venuta meno ogni forma di comunione materiale e spirituale. In tale frangente si pensi agli acquisti che sebbene compiuti separatamente dai coniugi continuerebbero a cadere in comunione legale, oppure all’assoggettamento – ex articolo 189 c.c. -dei beni della comunione legale all’azione dei creditori personali del coniuge per gli atti compiuti da questo all’insaputa dell’altro (in caso di incapienza del patrimonio personale del coniuge che ha agito).
In questa ipotesi, ai fini dello scioglimento occorrerà che il provvedimento di cui all’art. 708 c.p.c. sia stato notificato e non reclamato nel termine dei dieci giorni successivi, non essendo invece rilevante l’esecuzione della pubblicità dell’ordinanza nei registri di stato civile, che non ha effetti costitutivi.
Resta fermo pertanto che, a prescindere dalla data di esecuzione dell’annotazione, lo scioglimento della comunione legale avverrà comunque alla data dell’emanazione dell’ordinanza contenente l’autorizzazione per i coniugi a vivere separati, notificata e non reclamata come sopra detto.
Sul punto dell’esecuzione della formalità pubblicitaria, il Legislatore ha dunque nettamente distinto tra separazione personale giudiziale e separazione personale consensuale. Solo per la separazione personale giudiziale è stabilito che “l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione.”
Diversamente, nel caso di separazione consensuale, non è prevista alcuna analoga forma di pubblicità del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi debitamente sottoscritto. Conseguentemente, come per il passato, oggetto di pubblicità sarà solo il provvedimento di omologazione della separazione consensuale, fermo, come per le opinioni dottrinarie già riportate, la decorrenza degli effetti dello scioglimento, che, si ritengono soggetti alla condizione legale (espressamente prevista come retroattiva) dell’omologazione.
L’efficacia immediata, anche se non ancora definitiva, dello scioglimento della comunione fin dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale sottrae tempestivamente i coniugi ai limiti e ai vincoli derivanti dal regime di comunione legale in un momento in cui tale regime non è più adatto alla situazione di crisi venutasi a creare tra i coniugi, prevenendo eventuali ulteriori dissidi e possibili “scorrettezze” tra gli stessi.
In particolare sembra potersi sostenere l’applicabilità dell’art. 1357 c.c. che, nel disciplinare gli atti di disposizione in pendenza della condizione, stabilisce che chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva (o risolutiva) può disporne in pendenza di questa; ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati alla stessa condizione.
“Ciò significa che ove uno dei due coniugi in comunione abbia separatamente acquistato un diritto dopo la sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale ma prima del verificarsi della condizione costituita dall’omologazione, potrà da solo anche disporne sia pure subordinatamente alla stessa condizione”.
E’ il caso dell’acquisto immobiliare con mutuo contestuale con il quale il solo coniuge acquirente concede ipoteca sull’immobile appena acquistato.
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