La società italiana che trasferisce la propria sede all’estero
- Il trasferimento della sede di società italiana in altri Paesi UE costituisce modificazione dell’atto costitutivo e, come tale, va iscritta nel Registro delle Imprese. Una volta ricevuto il verbale in forma notarile questo deve essere pubblicizzato nel registro delle imprese del luogo ove è ubicata la sede italiana della società entro trenta giorni. Con questa prima formalità pubblicitaria si dà notizia ai terzi che la società intende trasferirsi all’estero e assoggettarsi all’ordinamento giuridico del paese di destinazione. In questa fase la società non può ancora essere cancellata dal registro imprese italiano in quanto è necessario, svolgere prima l’iscrizione della società nel registro delle imprese del paese di destinazione.
- Nel caso di trasferimento della sede di società estera in Italia è obbligo del notaio che riceve in deposito l’atto estero di trasferimento verificare la legittimità e la conformità dell’atto medesimo alla “lex societatis” ed alle norme italiane, nonchè la sussistenza delle “condizioni stabilite dalla legge” per richiederne l’iscrizione nel Registro delle Imprese.
Vanno esaminate separatamente le ipotesi di trasferimento della sede sociale da o in Paesi UE ovvero da o in Paesi extra UE.
Paesi UE
Vale il principio del diritto – e quindi della libertà – di stabilimento, nel duplice aspetto:
- libertà di trasferimento della sede e quindi di stabilimento da parte di società costituite nella UE in tutti i Paesi della stessa UE
- possibilità per una società costituita in un Paese UE di mantenere l’ordinamento proprio del Paese di costituzione e di operare in un altro Paese UE.
La libertà di stabilimento delle persone giuridiche può essere esercitata secondo due diverse modalità:
- trasferendo la sede sociale in uno Stato differente da quello di origine (libertà di stabilimento “primario”);
- aprendo in uno Stato differente da quello di origine agenzie, succursali e filiali ovvero qualsiasi altra struttura preposta all’esercizio organizzato e non occasionale dell’attività economica (libertà di stabilimento “secondario”).
Il trasferimento della sede legale di una società italiana in altro paese europeo è espressione del diritto di stabilimento primario.
Risulterebbe quindi superato l’art. 25, comma 1, della legge n. 218/1995, secondo il quale, fermo restando che le società sono disciplinate dalla legge dello Stato in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione, “si applica tuttavia la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale…”.
La Corte di Giustizia della Comunità europea ha preferito, alla teoria della sede effettiva, la teoria dell’incorporazione, perché ritenuta più adeguata alle esigenze della libera circolazione delle imprese nel mercato europeo, ed orientata verso il principio della continuità giuridica della società che trasferisce la propria sede legale all’estero, con permanenza di personalità giuridica e organizzazione in base alla legge di costituzione originaria.
Se si concorda dunque sulla impossibilità che lo Stato UE di arrivo possa impedire od ostacolare (ad esempio con la richiesta di condizioni aggiuntive quali minimi di capitale) il trasferimento della sede consentito dallo Stato UE di provenienza, ma non manca chi ritiene possibile che l’ordinamento di quest’ultimo, e cioè la c.d. “lex societatis”, impedisca od ostacoli il trasferimento all’estero della sede di una società ivi costituita (ad esempio prevedendo che in questo caso la società debba essere preventivamente liquidata).
Tenuto conto di quanto sopra:
– nel caso di trasferimento della sede di una società da un paese UE in Italia, il notaio italiano (sulla cui competenza si veda la Massima n. 84 in CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massime notarili in materia societaria, Milano, 2007) dovrà verificare la legittimità e conformità della deliberazione/decisione sociale o gestionale adottata alla “lex societatis” ed alle norme italiane, quindi ricevere la stessa in deposito ai sensi dell’art. 106 l.not. ed infine procedere alla sua iscrizione presso il Registro delle Imprese.
– nel caso di trasferimento della sede di una società italiana in diverso Paese UE, la relativa decisione – che auspicabilmente dovrebbe contenere gli elementi sufficienti a stabilire in modo non equivoco se il trasferimento comporta o meno il definitivo “abbandono” dell’ordinamento giuridico italiano – deve comunque essere iscritta nel Registro delle Imprese come modificazione dell’atto costitutivo della società italiana alla quale
(i) non seguirà alcuna ulteriore formalità pubblicitaria in ordine al trasferimento qualora la società intenda mantenere la soggezione all’ordinamento giuridico italiano (ipotesi verosimilmente piuttosto rara);
(ii) seguirà invece l’istanza di cancellazione della società dal Registro delle Imprese, da presentarsi a cura dell’organo amministrativo, dopo che sarà stata perfezionata all’estero l’iscrizione della società o risulti comunque compiuta la procedura di costituzione secondo la nuova legge di appartenenza.
La società, dunque, adempiuti gli obblighi pubblicitari previsti dal paese di destinazione, deve richiedere entro trenta giorni la cancellazione dal registro imprese italiano presentando apposita attestazione che comprovi l’avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese del paese di destinazione.
Trasferimento della sede da o in Paese extra UE:
Il diritto di stabilimento non è riconosciuto alle società al di fuori dell’Unione europea e precisamente a quelle società che non sono costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e che non hanno la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione.
Ne discende che il trasferimento di sede legale di una società italiana in un paese extraeuropeo, come ad esempio Stati Uniti, Brasile ecc., non è efficace se il paese extraeuropeo di destinazione adotta la c.d. “teoria della sede effettiva” mentre è efficace se adotta la teoria c.d. “dell’incorporazione”.
E, dunque:
– se si tratta di trasferimento in Italia, vige l’obbligo per il notaio italiano che riceve in deposito (ai sensi del citato art. 106 l.not.) la decisione della società estera di verificarne legittimità e compatibilità con la “lex societatis” e l’ordinamento italiano, apparendo in particolare necessario che la decisione stessa preveda espressamente la scelta del tipo societario italiano che la società adotterà.
– Se il trasferimento è dall’Italia in Paese extra UE, il notaio che riceve la relativa delibera dovrà verificare la concreta compatibilità della decisione assunta con la normativa del Paese prescelto, accertando che sia ammesso il trasferimento di sede – con conseguente “costituzione” della società e sottoposizione della stessa all’ordinamento giuridico nazionale – e non sia prevista, invece: (i) una norma di diritto internazionale privato che faccia riferimento alla legge del Paese in cui è avvenuta l’originaria incorporazione della società ovvero (ii) una normativa interna che imponga comunque la costituzione della società secondo le leggi e le procedure proprie del Paese.
Relativamente alle problematiche di iscrizione che qui interessano, si potrebbe infatti verificare:
nell’ipotesi sub. (i), che la cancellazione dal Registro delle Imprese italiano sia in contrasto con la necessità di mantenere il riferimento alla normativa italiana;
nell’ipotesi sub. (ii), che il trasferimento della sede comporti necessariamente lo scioglimento e la liquidazione della società, con soggezione quindi a formalità pubblicitarie diverse da quelle previste per le modificazioni dell’atto costitutivo.
In quest’ultimo caso il trasferimento di sede legale all’estero (paese extra UE) di una società italiana non avrà piena efficacia se lo stato estero adotta la teoria della sede effettiva e quindi non riconosce la società come entità giuridica preesistente in altro stato, imponendo così lo scioglimento, la liquidazione e la cancellazione nel paese di origine e la costituzione ex novo nel paese di destinazione.
Dal punto di vista fiscale
Il trasferimento della sede all’estero di una società italiana ha natura realizzativa (exit tax) ovvero genera una plusvalenza imponibile, data dalla differenza tra il valore di mercato e il corrispondente costo fiscalmente riconosciuto delle attività e delle passività del patrimonio aziendale trasferito, avviamento compreso (e che non siano confluite in una stabile organizzazione dell’impresa italiana).
La plusvalenza si considera “realizzata” al termine dell’ultimo periodo di imposta di residenza fiscale in Italia (tenendo sempre a mente il vincolo temporale dei 183 giorni).
Il legislatore consente, al verificarsi di determinate condizioni e al rispetto di alcuni requisiti, la compensazione con le perdite fiscali realizzate sino all’ultimo periodo di imposta di residenza, oltre alla possibilità di rateizzare l’imposta “di uscita” in 5 rate annuali di pari importo .
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