Il caso del dipendente che svolge la propria prestazione lavorativa in un paese diverso da quello in cui ha sede la società. Il caso dell’International Smart Working: lavorare da remoto in italia per azienda estera.
E’ possibile per la società estera assumere un dipendente in Italia, chiamato a svolgere la propria prestazione sul territorio italiano? Quali conseguenze, quali adempimenti, regime impositivo e previdenziale sono applicabili?
Fuori dai casi che sia la società datrice di lavoro a distaccare i propri dipendenti presso un paese estero per svolgere un’attività nell’interesse della medesima, accade, sempre più frequentemente, che il lavoratore esegua la propria prestazione – in smart working – in un paese diverso da quello in cui ha sede la società e dove la società non ha una una sede secondaria o unità locale.
La predetta circostanza ha rilevanza sotto il duplice profilo (fiscale e previdenziale):
Per il lavoratore che svolge la prestazione in Italia :
In base all’art. 2, comma 2, TUIR si considera fiscalmente residente in Italia la persona fisica che per la maggior parte del periodo d’imposta soddisfi uno dei seguenti criteri alternativi:
- essere iscritto all’anagrafe della popolazione residenza;
- avere in Italia il domicilio, inteso come centro degli affari e degli interessi, anche affettivi;
- avere in Italia la residenza, intesa come dimora abituale, luogo presso cui ritorna appena possibile per condurre le relazioni familiari e amicali più strette.
Si applica la tassazione esclusiva nello Stato di residenza quando:
- il beneficiario soggiorna nello Stato in cui esercita l’attività di lavoro dipendente per un periodo non superiore a 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi;
- le remunerazioni sono pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente nello Stato dove viene svolta l’attività di lavoro dipendente;
- l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione, o da una base fissa, di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui è svolta l’attività.
Le convenzioni contro le doppie imposizioni, ove applicabili, consentono solitamente di evitare la stessa solo ove il lavoratore presti la propria attività lavorativa in uno stato diverso da quello in cui è residente per meno di 183 giorni nell’arco del periodo di imposta (a condizione, peraltro che le remunerazioni siano pagate da un datore di lavoro che non risiede nello Stato estero in cui è svolta l’attività lavorativa e che l’onere del pagamento della retribuzione non sia sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro abbia nello Stato in cui si è svolta l’attività).
In base alle convenzioni contro le doppie imposizioni, generalmente il soggetto è tassato nel luogo di svolgimento della prestazione lavorativa ovvero ove è ‘fisicamente presente’, anche nel caso in cui i ‘risultati’ della prestazione lavorativa siano utilizzati in un paese diverso da quello in cui l’attività è materialmente svolta. (Risposta A.E. 296/2021).
REGOLA:
IL REDDITO DI LAVORO DIPENDENTE SVOLTO IN ITALIA – ANCHE IN SMART WORKING O DA REMOTO – DA SOGGETTO RESIDENTE IN ITALIA, E’ INTERAMENTE ASSOGGETTATO AD IMPOSIZIONE IN ITALIA.
Sull’argomento che qui interessa l’Agenzia delle entrate si è espressa anche con le risposte Risposta A.E. 626/2021, 345/2021, 458/2021 e 590/2021.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’attività di lavoro da remoto si considera svolta nel luogo ove il lavoratore è fisicamente presente quando esercita l’attività per cui è remunerato. Non assumono rilevanza né il luogo di residenza del datore né quello in cui vengono utilizzati i risultati della sua prestazione (da ultimo Risposta ad interpello 24 settembre 2021, n. 621).
Dunque:
- Se il lavoratore è fiscalmente residente in Italia, saranno assoggettati a IRPEF tutti i suoi redditi ovunque prodotti;
- se non residente egli dovrà dichiarare i redditi derivanti dall’attività di lavoro da remoto perché trattasi di attività svolta in Italia (artt. 3 e 23 TUIR).
Il lavoratore dovrà provvedere al versamento delle imposte in autoliquidazione, mediante presentazione della dichiarazione dei redditi (Modello Unico).
Agevolazioni possibili:
Nel caso in cui il lavoratore possa svolgere sul territorio italiano una prestazione da remoto in favore di un datore di lavoro estero presso il quale, nei periodi di imposta precedenti, svolgeva fisicamente la prestazione lavorativa, è per lui possibile sfruttare il Regime fiscale per gli impatriati, il cui presupposto di applicazione è lo svolgimento prevalente dell’attività nel territorio Italiano.
Con la risposta 596/2021, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto applicabile il regime agevolativo ad un lavoratore trasferitosi in Italia per continuare a svolgere la propria mansione da remoto a favore di un datore di lavoro estero.
Infatti, l’articolo 16 del DLgs 147/2015, come modificato dall’articolo 5 comma 1 del DL 34/2019, non richiede più che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato.Sul piano operativo, in questa ipotesi, non dovrebbe essere necessaria per la fruizione del beneficio la richiesta scritta al datore di lavoro estero con cui viene richiesta l’applicazione del regime agevolato, posto che questi non riveste la qualifica di sostituto d’imposta (salvo il caso in cui non disponga di una stabile organizzazione in Italia, come chiarito nella risposta all’istanza di interpello 449/2021).
Possono accedere, allora, all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro anche alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti).
Il regime di favore consiste nella riduzione della base imponibile IRPEF del lavoratore:
i redditi da lavoro dipendente, lavoro autonomo o di impresa (esercitati in forma individuale) sono tassati al 30% (o 10%) per 5 periodi di imposta estendibili, al verificarsi di ulteriori condizioni, per ulteriori cinque anni.
La tassazione ridotta – di almeno il 70% – del reddito avviene rispettando le seguenti condizioni:
- Il lavoratore non deve essere stato residente fiscalmente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il rimpatrio;
- Il lavoratore si impegna a risiedere fiscalmente in Italia per almeno due anni;
- L’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano.
Attenzione, tuttavia, al fatto che il lavoratore impatriato in questo caso potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o dall’art. 162 del TUIR. In tal caso il datore di lavoro estero sarà assoggettato a tassazione ordinaria in Italia. Questo è quanto chiarito dalla Circolare n. 33/E/2020, aspetto su cui prestare molta attenzione.
La stessa agevolazione può spettare anche ad impatriati, precedentemente assunti presso sedi secondarie ubicate in diversi Paesi in cui opera il datore di lavoro estero non residente, i quali vengano a svolgere la loro attività lavorativa presso la sede secondaria italiana del medesimo datore di lavoro, non essendoci preclusioni normative in tal senso.
Per beneficiare del regime agevolativo i lavoratori, titolari di reddito di lavoro dipendente, devono presentare una richiesta scritta al proprio datore di lavoro.
Tale richiesta, resa ai sensi del DPR 445/2000, deve contenere:
- le generalità (nome, cognome e data di nascita);
- il codice fiscale;
- l’indicazione della data di rientro in Italia e della prima assunzione in Italia;
- la dichiarazione di possedere i requisiti previsti dai regimi agevolativi di cui si chiede l’applicazione;
- l’indicazione dell’attuale residenza in Italia;
- l’impegno a comunicare tempestivamente ogni variazione della residenza prima del decorso del periodo minimo previsto dalla norma;
- la dichiarazione di non beneficiare contemporaneamente degli incentivi fiscali previsti dall’articolo 44 del DL 78/2010 e dalla Legge 238/2010.Il datore di lavoro applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta o in sede di conguaglio, mediante applicazione delle ritenute sull’imponibile ridotto.
Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, o nel caso in cui lo stesso non sia sostituto d’imposta (vedi infra), il contribuente può fruire del regime agevolativo, in presenza dei requisiti di legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi.
In tale caso il reddito di lavoro dipendente va indicato già nella misura ridotta.
Al riguardo, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 33/2020 ha precisato che nelle ipotesi in cui l’impatriato non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta in cui è avvenuto il rimpatrio, né ne abbia dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi, per detti periodi di imposta l’accesso al regime è da considerarsi precluso.
il datore di lavoro estero:
Questi deve comunque adempiere a tutti gli obblighi previsti dalla legislazione applicabile al suo dipendente ovvero quella dello Stato ove il lavoratore risiede e dove svolge la propria attività lavorativa.
Per principio generale – ex art. 11 del regolamento 883/2004 e art. 13 Regolamento n. 1408/71 – si prevede che il lavoratore venga assoggettato alla legislazione previdenziale del Paese dove svolge l’attività, con conseguenti obblighi di versamento della contribuzione agli enti del luogo di lavoro effettivo.
Il principio di territorialità ha, infatti, deroga solo in caso di distacco, con opzione di mantenimento della contribuzione in Italia espressa con il formulario A1 (Inps) e il modello PD DA1 (Inail), per una durata massima di 24 mesi (salvo proroghe).
Quindi, per adempiere a tali obblighi, il datore di lavoro estero – senza stabile organizzazione in Italia – dovrà necessariamente nominare un proprio rappresentante previdenziale in loco, il quale sarà deputato a eseguire gli adempimenti richiesti dalla legislazione giuslavorista e previdenziale del Paese straniero.
Il rappresentante previdenziale:
La società estera è tenuta ad aprire in Italia una posizione INPS con nomina di un rappresentante previdenziale che provveda alla redazione del LUL, al conteggio e al pagamento dei contributi INPS, all’invio dei modelli Uniemens su base mensile.
In osservanza del citato principio lex loci laboris, saranno dovuti all’INPS i contributi IVS (a carico datore e dipendente) e i contributi “minori” in base alle caratteristiche contributive dell’azienda (malattia, maternità, Fondo TFR, Naspi, mobilità, disoccupazione, etc.)
La rappresentanza previdenziale è obbligatoria per le società che assumano lavoratori in Italia senza avere una stabile organizzazione al fine di adempiere agli obblighi previdenziali/assicurativi.
Il rappresentante previdenziale ha un mandato a termine dalla società per l’espletamento degli obblighi, che si sostanziano:
- versamento dei contributi dovuti secondo le scadenze ordinarie;
- tenuta del Libro Unico e redazione di tutti i documenti necessari inerenti il rapporto di lavoro (Certificazione Unica, F24, Uniemens);
- il rappresentante non ha un obbligo di sostituzione in quanto non rientra nel campo di applicazione del comma 1 dell’art. 23 DPR 600/73;
- La società estera non potrà quindi provvedere a trattenere le imposte al dipendente, neanche mediante il rappresentante previdenziale,
Come precisato, infatti, nella circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326, paragrafo 3.1, gli enti e le società non residenti assumono la qualifica di sostituto d’imposta limitatamente ai redditi corrisposti da una loro stabile organizzazione o base fissa in Italia (quindi anche unità locale).
Stante l’assenza di stabile organizzazione in Italia, la società estera, non rivestendo il ruolo di sostituto d’imposta, non è tenuta ad applicare le ritenute sui corrispettivi erogati al proprio dipendente in Italia.
Il rappresentante previdenziale provvederà:
- ad aprire una posizione previdenziale ed assicurativa a nome dell’impresa estera;
- a tutti gli adempimenti relativi (tenuta del libro unico del lavoro, versamento dei contributi dovuti alle scadenze ordinarie, redazione del modello CUD e predisposizione della dichiarazione dei sostituti d’imposta Modo. 770 in nome e per conto dell’impresa estera.
- Potenziale rischio sul piano fiscale.
L’operatività di un lavoratore dall’estero, al ricorrere anche di ulteriori specifici requisiti, potrebbe in teoria implicare il rischio per il datore di lavoro italiano di imponibilità dei propri redditi di impresa presso lo stato estero ove il lavoratore abbia svolto la propria attività lavorativa (in sostanza, il rischio sarebbe quello dell’accertamento di una “stabile organizzazione” all’estero). Il rischio predetto non pare sussistere se il dipendente non ha alcun potere di rappresentanza e non svolge attività commerciale sul territorio italiano. Solo ove il personale dipendente assunto in Italia disponga del potere di concludere contratti in nome della società, e di fatto lo eserciti, si dovrà valutare se la società medesima disponga, nel territorio dello Stato, di una stabile organizzazione, anche in assenza di una struttura fissa (c.d. stabile organizzazione personale) e, pertanto, in questa ipotesi dovrà essere istituita una sede secondaria in Italia.
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