Riflessioni sulla possibilità di rinunciare alla quota di comproprietà su uno solo dei beni facenti parte di una più ampia massa ereditaria
Affrontare la questione vuol dir partire dal noto orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’atto traslativo a titolo oneroso, avente ad oggetto una quota di proprietà di un singolo bene facente parte di una eredità, non potrebbe avere efficacia immediata, in quanto sarebbe sottoposto necessariamente alla condizione sospensiva della assegnazione, in sede di divisione, di quel bene al coerede trasferente (Cassazione, ordinanza 23 febbraio 2018 n. 4428; Cassazione civile sez. II 23 aprile 2013 n. 9801; Cassazione civile sez. III 01 luglio 2002 n. 9543; Cassazione civile sez. II 29 novembre 1996 n. 10629) o, comunque, sarebbe da strutturarsi come vendita obbligatoria.
E’ poi nota la celebre sentenza a Sezioni Unite in materia di donazione di quota di proprietà di un singolo bene ereditario, che ha sanzionato di nullità tale donazione per difetto di causa (Cassazione civile sez. un. 15 marzo 2016 n. 5068).
Ci si può, allora, domandare se anche la rinuncia, da parte di un coerede, alla quota di proprietà di un singolo bene ereditario possa correre il rischio, alla luce della richiamata giurisprudenza, di essere ritenuta inefficace o, addirittura, nulla.
L’analisi non può che partire dalle criticità sollevate dall’orientamento predetto, per il quale, prima della divisione, non sussiterebbe alcun diritto immediato del coerede sui singoli beni compresi nella massa ereditaria (c.d. “quotina”), ma, unicamente, un diritto alla quota (universale): è questa la c.d. “concezione unitaria della massa ereditaria”.
La concezione unitaria della massa ereditaria
La concezione unitaria può riscontrarsi anche in altre sentenze nelle quali:
- si è ritenuta ammissibile che l’espropriazione forzata avesse ad oggetto solo la quota spettante al coerede sulla sola intera massa ereditaria, limitatamente a tutti i beni indivisi di una singola specie (immobili, mobili o crediti), e non anche la quota su un singolo bene (cfr. Cass., 19 marzo 2013, n. 6809, in Rep. Foro it);
- si è sottolineato che la quota ereditaria rappresenta la frazione ideale dell’insieme delle situazioni attive e passive di cui era titolare il de cuius (cfr. Cass., 13 settembre 2004, n. 18351, in Rep. Foro it, 2005, voce Divisione, n. 20);
- si è affermato che “lo stato di comunione non può che cessare con la divisione […] attraverso la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote”;
- si è fatto richiamo al carattere oggettivamente universale della divisione, nonché alle norme riguardanti l’imputazione dei debiti, alla collazione delle donazioni, alla sospensione della divisione, alla prelazione ereditaria e alla divisione del testatore: istituti che, per il loro operare, presuppongono una concezione unitaria della massa di provenienza successoria e darebbero, dunque, conferma della presenza di una universitas;
- si è evidenziata la circostanza che, a mezzo l’atto traslativo della c.d. “quotina” con efficacia reale immediata, gli altri coeredi sarebbero costretti a “subire” una ulteriore “comunione” con un diverso soggetto, con aggravio delle operazioni divisionali: la regola dell’universalità è, infatti, funzionalmente rivolta, per un verso, a garantire una definizione vincolante e integrale di ogni rapporto tra i coeredi e, peraltro verso, a non vanificare le disposizioni sulla prelazione ereditaria, sull’imputazione dei debiti e sui prelevamenti.
Pertanto:
- non vi sarebbe alcunché da rinunciare (dunque tornerebbe il rilievo del difetto causale dell’atto di rinuncia);
- la detta rinuncia comporterebbe, se ammessa, una modifica alla consistenza oggettiva della comunione, che necessiterebbe del consenso di tutti i coeredi, consenso che, come si è visto, non è invece richiesto per l’atto di rinuncia abdicativa;
- se, come alcuni fanno, si confonde il profilo della tassazione dell’atto di rinuncia con quello civilistico, riconducendo la figura alla donazione, tornerebbero pienamente applicabili i rilievi sollevati dalla Cassazione a Sezioni Unite per l’atto donativo;
- potrebbe operare il divieto di rinuncia parziale alla quota di eredità di cui all’art. 520 c.c.
Allora…. davvero un coerede non può disfarsi, prima della divisione, della quota su di un bene che non vuole né vorrà, per i più svariati motivi?
La risposta al quesito merita una semplice riflessione:
Le Sezioni Unite del 2016 promuovono un ragionamento che va oltre la semplice altruità del bene in comunione ereditaria, sancendo la nullità dell’atto, non tanto per il divieto di cui all‘art. 771 c.c., ma, si ripete, per un difetto causale dell’atto, conseguente alla mancanza di consapevolezza della situazione giuridica del bene da parte del donante, bene che, in sede di divisione ereditaria, ben potrà non venirgli assegnato.
In altre parole, l’orientamento trova giustificazione nella considerazione che un atto traslativo avente ad oggetto la quota di proprietà di un singolo bene ereditario potrebbe contrastare con il contenuto di una successiva divisione ereditaria.
Se il bene fosse assegnato ad altro coerede sorgerebbe, infatti, un contrasto tra coerede assegnatario e terzo avente causa dal coerede trasferente non assegnatario. Da qui la necessaria efficacia condizionata del trasferimento.
L’attribuzione all’atto dispositivo della quot(in)a di effetti reali sospesi non dipende, perciò, dalla pretesa altruità del bene rispetto al patrimonio del coerede, ma dalle norme di cui agli artt. 713 ss. c.c., che in ambito successorio necessitano, affinché esse possano pienamente operare, di un asse avente una composizione immutata al tempo della divisione.
Ma.. ciò può valere anche per la rinuncia?
Trasferimento e rinuncia divergono, infatti, sotto molteplici aspetti.
Il trasferimento dovrebbe, nelle intenzioni del disponente, determinare un immediato effetto traslativo a favore di altro soggetto. Tale immediatezza di effetti è impedita, si ripete, dalla incertezza relativa alla effettiva assegnazione del bene al coerede trasferente in sede di divisione ereditaria.
Inoltre, a mezzo l’atto traslativo, gli altri coeredi subirebbero l’ingresso di terzi in comunione, con aggravio delle operazioni divisionali, che riguarderebbero più masse, anziché una.
Nel caso di rinuncia alla quota di proprietà di un singolo bene ereditario non accade nulla di tutto questo.
La rinuncia determina, infatti, la perdita immediata di ogni diritto del coerede rinunciante sul singolo bene, senza che tale diritto sia trasferito ad altro soggetto.
Non vi è alcun rischio di incompatibilità con una successiva divisione, posto che la rinuncia non presuppone la assegnazione di quel bene al rinunciante in sede di divisione, ma, al contrario, impedisce una tale assegnazione.
Non vi sono, in questo caso, soggetti acquirenti della quota di proprietà del singolo bene che possano essere pregiudicati dalla mancata assegnazione in sede di divisione della stessa quota al loro dante causa.
Sono, infatti, gli altri coeredi non rinuncianti a subentrare, sia pure in via indiretta e per effetto dell’accrescimento delle loro quote, nella quota del coerede rinunciante.
Non è, dunque, condivisa la ratio della famosa pronuncia a Sezioni Unite come degli orientamenti accennati.
Gli altri coeredi non vengono, infatti, pregiudicati in alcun modo dalla immediata efficacia dell’atto di rinuncia.
La rinuncia mantiene, anche in questa ipotesi, la sua natura di atto “puro” o “nudo patto” (la cui causa si individua nella semplice dismissione del diritto) unilaterale, per l’effetto immediato e non differito, non di rinunciare parzialmente ad un’eredità, già accettata per la quota delata, ma di modificare unilateralmente anche il futuro apporzionamento.
Ecco che… detta rinuncia ha, allora, un effetto sostanzialmente divisorio, sia pure parziale, nel seguente significato:
A mezzo quest’atto, il coerede rinuncia irrevocabilmente ed immediatamente alla quota di comproprietà su un unico bene con effetti divisori, che si producono proprio perché l’atto non comporta pregiudizio o modificazioni in peius alla sfera giuridica degli atri partecipanti alla comunione.
La rinuncia de quo può essere definita “in conto futura divisione”:
Del valore rinunciato si terrà conto, in favore degli altri condividenti, al momento divisorio, potendo, in detta sede, e per assurdo, al già rinunciante venire assegnato, col suo consenso, anche il bene del quale ha già dismesso la quota, ma non potendo lo stesso soggetto più vantare il valore dismesso, del quale se ne sono, indirettamente, già avvantaggiati gli altri coeredi.
Per quanto sopra indicato deve, allora, ritenersi che la rinuncia alla quota di proprietà di un singolo bene ereditario abbia ad oggetto un diritto attuale, e non futuro, del rinunciante.
Stante l’effetto sostanzialmente dismissivo, latamente divisorio e non traslativo dell’atto di rinuncia, non vi è, allora, motivo di ritenere che l’atto abbia una efficacia condizionata.
La dottrina è concorde nel riconoscere che l’atto abdicativo ex art. 1104 c.c. possa riguardare anche la sola parte indivisa di uno dei beni caduti in successione, cui consegue il riespandersi del diritto di proprietà degli altri coeredi su quel singolo cespite (A. Burdese, La divisione; M. Fragali, La comunione; G.Branca, Comunione; L. Barassi, Proprietà e comproprietà; A. Fedele, La comunione; Michele Laffranchi, Due questioni in tema di rinuncia a quota di proprietà, 2018) a mezzo un negozio che non solo è perfettamente valido, ma anche immediatamente efficace.
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