Il rimborso del capitale sociale mediante assegnazione di beni in natura:
le operazioni sul capitale, oltre che necessitate (generalmente per perdite), possono essere volontarie. La società può volontariamente svincolare parte delle poste contabili già destinate a capitale, attribuendole ai soci. Ma può il “rimborso” avvenire mediante diretta assegnazione di beni già nel patrimonio della società?
I profili di legittimità dell’operazione sono stati bene analizzati dalla Massima n. 9 degli orientamenti del Consiglio Notarile di Firenze, Pistoia e Prato. Ora tentiamo di ricavarne i presupposti, rendendo uno schema riassuntivo che parte da un’analisi di compatibilità con i principi che potrebbero risultare lesi dall’operazione: l’integrità del capitale sociale e la parità di trattamento fra i soci.
Entrambi i detti principi sono rispettati nel caso di rimborso pecuniario. La fungibilità del denaro assicura piena parità di trattamento tra i soci, i quali ricevono un valore esattamente corrispondente alle azioni (o quote) rimborsate. Essendo unità di misura di valori, poi, l’importo pecuniario rimborsato garantisce che quanto attribuito al socio a titolo di riduzione non sia di valore maggiore rispetto al capitale nominale annullato in conseguenza della riduzione.
Quanto sopra, giusta la cautela, per i creditori sociali anteriori all’iscrizione della deliberazione nel competente Registro delle Imprese, dell’opposizione di cui all’art. 2445 cod. civ. per tutto il periodo nel quale la riduzione stessa non potrà essere eseguita. Rimedio che certamente prescinde dalla modalità della riduzione reale del capitale e che rimane anche nell’ipotesi in esame. Ma è sufficiente? Oppure la ricchezza “sprigionata” dall’operazione necessità di un’ulteriore verifica a tutela dei terzi?
INTEGRITA’ DEL CAPITALE
In sede di costituzione della società o aumento del capitale, il principio di effettività del capitale viene tutelato a mezzo perizia giurata di stima del bene da conferirsi. Detta perizia giurata deve attestare che il valore di quanto conferito sia almeno pari al capitale sottoscritto (e al sovrapprezzo). Ad una prima analisi sembra che la stessa cautela debba prendersi anche nell’ipotesi inversa ovvero quando un bene esca dal patrimonio della società a seguito dell’annullamento del capitale. Questo perché, la società, attribuendo ai soci beni di valore superiore alle partecipazioni rimborsate, potrebbe “svuotarsi” del patrimonio con pregiudizio per i creditori sociali. Questi ultimi, infatti, vedono depauperarsi la società di risorse patrimoniali che sono poste genericamente a garanzia delle loro spettanze. Che dette risorse patrimoniali siano denaro o altri beni dal punto patrimoniale non costituisce una differenza, salvo verificare il valore di assegnazione. Ma può la perizia di stima essere strumento opportuno per determinare il valore di assegnazione?
Occorre sul punto fare alcune considerazioni:
- la perizia, se posta a tutela delle medesime esigenze di cui in fase di aumento, dovrebbe esser redatta dal medesimo soggetto ovvero da esperto nominato dal tribunale. Inoltre dovrebbe attestare – in questo caso – che il valore del bene rimborsato non è maggiore dell’importo nominale delle azioni annullate. In tal modo costituirebbe sicuramente una tutela formale per il ceto creditorio (non sicuramente per il socio, che, anzi, si vede attestato che “prende” meno di quel che gli spetterebbe). Ma, a ben vedere, non vi è alcuna norma di legge che la imponga e, per tal motivo, il tribunale adito potrebbe addirittura rifiutarsi di procedere alla nomina dell’esperto, lamentando un difetto di competenza;
- inoltre una perizia con detta attestazione non sposterebbe di molto la “problematica” del valore di assegnazione. Detto valore, infatti, rimane e, a nostro avviso deve rimanere, legato al costo storico di bilancio o, comunque, è questione di corretta amministrazione della società, non di legittimità della deliberazione. L’assegnazione a valori differenti da quelli di bilancio genererà minus o plus valenze in contabilità, le quali avranno le conseguenze che le norme tributarie e societarie impongono.
-
Si facciano i seguenti esempi: nel caso in cui il valore di assegnazione sia maggiore a quello di bilancio (in perfetta aderenza alle attestazioni peritali di cui sopra) si genererà una posta attiva che, al termine dell’esercizio sociale, potrebbe astrattamente essere distribuita ai soci con una decisione che non è soggetta a nessun specifico “controllo” da parte del ceto creditorio. Nel caso, invece, l’assegnazione del bene al socio avvenga per un valore minore a quello di iscrizione in bilancio del bene medesimo, si genererà un perdita d’esercizio.
Dunque non è tanto il valore di assegnazione che tutela i creditori sociali ma il diritto di opposizione previsto dall’art. 2445 Cod. Civ. per tutte le ipotesi di riduzione volontaria del capitale sociale.
PARITA’ DI TRATTAMENTO
Tutti i soci che si trovano nelle medesime condizioni devono essere trattati allo stesso modo. E’ regola inderogabile che consegue all’accoglimento del principio maggioritario: se non vi è consenso del socio “pregiudicato” – unanimità – non può la maggioranza imporre condizioni diverse ai soci assenti o dissenzienti. Per il caso di specie, se un socio fosse costretto a vedersi attribuire un bene diverso da quello attribuito agli altri, il principio non potrebbe dirsi rispettato e la deliberazione sarebbe illegittimamente assunta. Nemmeno nel caso in cui vi sia già una previsione statutaria che preveda la possibilità di tale modalità di rimborso, una deliberazione presa a maggioranza potrebbe dirsi in astratto legittima. Si deve aver riguardo alla situazione concreta e, specialmente, alle qualità dei beni da rimborsare e alle modalità di rimborso medesimo. Attraverso la deliberazione de quo, la società detta una modalità di riduzione che deve essere astrattamente valida per tutti i soci e, pertanto, è necessario ricorrere ad una modalità “neutra” di assegnazione:
- quanto ai beni da attribuire, non devono esservi differenze non “accettate”. Ecco allora l’utilità qui di una relazione peritale “interna” (senza vincoli di pubblicizzazione a terzi) che renda edotti i soci delle qualità dei beni che saranno loro attribuiti;
- quanto alle modalità di rimborso, devono garantire la parità di trattamento fra gli azionisti, come, ad esempio, l’estrazione a sorte fra un paniere di beni omogenei.
Una modalità con la quale è possibile attuarsi la parità di trattamento anche in ipotesi di beni eterogenei, è l’attribuzione ai soci di detti beni in comunione ordinaria e per quote proporzionalmente corrispondenti alle azioni da rimborsare.
LEGITTIMITA’ DELL’OPERAZIONE
Nel rispetto di detti principi è possibile deliberare a maggioranza l’operazione sul capitale con le usuali cautele:
- l’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione (così come ogni ipotesi di riduzione reale ex art. 2445 C.C.);
- Non devono risultare perdite “rilevanti” ai sensi di legge dalla situazione patrimoniale di riferimento;
- se la società per azioni ha emesso un prestito obbligazionario convertibile deve essere già stato pubblicato (90 gg prima del giorno di convocazione) l’avviso per l’esercizio della facoltà di conversione;
- l’organo amministrativo deve attuare la parità di trattamento fra i soci: detta parità di trattamento non va intesa in senso astratto ma deve essere effettiva (nel caso concreto):
- La presenza di una clausola che legittimi la liquidazione con l’assegnazione dei beni non è un consenso preventivo alla disparità di trattamento. Il socio non deve avere una tutela formale ma sostanziale
- La perizia di stima non è imposta da alcuna norma. E’ una responsabilità degli amministratori in questo caso.
- La tutela dei creditori sta nell’opposizione dell’art. 2445 cc che blocca la delibera.
Lascia un commento