Il conto corrente bancario o il libretto di risparmio può essere intestato ad entrambi i coniugi, e allora varrà la disciplina di cui al relativo articolo, o esclusivamente ad uno di essi.
In tale ultima ipotesi il regime patrimoniale della famiglia, che se non si è effettuata la scelta del regime di separazione, è della comunione legale dei beni, comporta delle conseguenze sulla spettanza delle relative somme al momento del decesso.
In base a quale dei due coniugi deceda per primo, se quello intestatario del conto corrente o l’altro, si verificano infatti conseguenze diverse.
1.Nel caso in cui deceda il coniuge che è titolare di tali rapporti bancari, è ormai certo che essi cadano in comunione (“de residuo”), qualora si tratti di proventi non consumati dell’attività separata di tale coniuge.
Se non sia dimostrato che il denaro sia acquisto escluso dalla comunione (perché il coniuge ne era titolare prima del matrimonio o l’ha ricevuto per donazione o, a sua volta, per successione e per altri casi specifici) si rientrerà nell’ipotesi che è disciplinata dall’art. 177, comma 1, lett. b, c.c.
La morte del coniuge intestatario determina infatti lo scioglimento del matrimonio (art. 149, comma 1, c.c.) e, a sua volta, lo scioglimento del matrimonio fa sciogliere la comunione legale dei beni (art. 191, comma 1, c.c.): il saldo del conto corrente di cui si tratta spetta allora per la metà al coniuge superstite iure proprio, laddove l’altra metà cade nella successione ereditaria di quello premorto, alla quale anche il primo potrà ovviamente essere chiamato.
Quanto sopra è confermato dalla giurisprudenza in proposito ma anche dalla circostanza che l’imposta sulla successione è dovuta soltanto sulla metà del saldo, non già sull’intero, dato che l’altra metà spetta iure proprio al coniuge superstite a titolo di comunione di residuo.
2. Morte dell’altro coniuge e comunione legale
Più problematica, si presenta l’ipotesi in cui si verifichi la morte del coniuge che non è titolare del conto o del libretto, essendo i “risparmi” versati solo sul conto corrente del coniuge superstite.
Sciogliendosi naturalmente anche in questa ipotesi la comunione legale dei beni, per quanto detto sopra, si giungerebbe così alla conclusione secondo cui, l’intestatario superstite dovrebbe versare la metà del saldo dei suoi conti correnti bancari agli eredi del coniuge premorto.
Pur essendo stata seguita dalla giurisprudenza di merito, tale soluzione è tuttavia difficilmente giustificabile dal punto di vista teorico e comunque irragionevole da quello pratico.
Si deve viceversa ritenere che, laddove i beni cadano in comunione di residuo perché è deceduto uno dei coniugi, tale comunione, trattandosi pur sempre di un regime patrimoniale della famiglia, possa operare esclusivamente a vantaggio del coniuge superstite, e non già di quello premorto (ossia, in realtà, dei suoi eredi).
Così Prof. Pietro Sirena Ordinario di Diritto Privato, Università Bocconi, in “Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile” a cura della Fondazione Italiana del Notariato:
L’equiparazione delle due ipotesi si porrebbe infatti palesemente in contrasto con la ragione che giustifica l’istituto della comunione legale.
Tale ragione è costituita dalla solidarietà tra i coniugi, la quale può essere intesa come una specificazione della loro eguaglianza morale e giuridica (art. 29, comma 2, Cost). In particolare, la disciplina della comunione legale dei beni è finalizzata a far sì che ciascuno dei coniugi tragga beneficio dagli acquisti e dagli incrementi patrimoniali che l’altro ha conseguito durante il matrimonio, sul presupposto che vi abbia almeno indirettamente contribuito mediante il proprio lavoro all’esterno o all’interno della famiglia.
Movendo da tali assunti, è agevole intendere che la comunione legale operi a favore del coniuge superstite, consentendogli di beneficiare di quanto sia medio tempore affluito nel patrimonio di quello deceduto. Non è altrettanto agevole intendere perché, alla morte dell’altro coniuge, quello superstite dovrebbe dividere tali suoi beni con gli eredi del coniuge premorto, considerato che nei loro confronti non si può per definizione porre quell’esigenza di solidarietà coniugale che, secondo quanto si è giàdetto, costituisce la ragione giustificativa della comunione legale dei beni.
Anche dal punto di vista più strettamente effettuale, si deve rilevare che la comunione legale dei beni costituisce un meccanismo di riequilibrio patrimoniale tra i coniugi, il quale non può non operare che a vantaggio di uno di essi. Qualora operasse anche nell’ipotesi di cui si tratta, tale meccanismo non andrebbe a vantaggio di uno dei coniugi, bensì immediatamente ed esclusivamente degli eredi di quello premorto, senza che quest’ultimo sia mai stato titolare o contitolare di quelle posizioni giuridiche soggettive nelle quali si dovrebbe verificare la successione a causa della sua morte.
La dottrina che ha invece sostenuto tale tesi è stata costretta ad ammettere che, prima della propria morte, ciascun coniuge sia titolare di un’aspettativa sui conti correnti dell’altro e che, morendo, tale sua aspettativa si trasformi in un vero e proprio diritto di credito, il quale sarebbe direttamente acquistato dai suoi eredi. Anche senza voler indugiare sulla intrinseca fragilità di tale soluzione, si pensi all’ipotesi, peraltro ricorrente, in cui tra gli eredi vi sia proprio il coniuge superstite, ossia il titolare del conto corrente. Si dovrebbe allora ritenere che, alla morte dell’altro coniuge, la metà del saldo sia perduta dal suo titolare per effetto della comunione di residuo, andando così in capo non all’altro coniuge (che è morto), ma ai suoi eredi, e proprio per questo che il coniuge superstite contestualmente riacquisti il proprio denaro, ma secondo la quota che gli spetta dell’eredità.
A contrario, si può rilevare che un diritto degli eredi dei coniugi al «prelevamento dei beni mobili» è espressamente riconosciuto dal legislatore solo riguardo a «beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione» (art. 195 c.c.): si tratta pertanto di beni che, ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. a – b, c.c., «non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali dei coniugi».
La medesima regola non è viceversa preveduta dal legislatore e non sembra comunque applicabile ai beni (e ai crediti) che costituiscono oggetto della comunione, ancorché di residuo.
Si deve dunque ritenere che, per le ragioni che sono state sopra esposte, la comunione de residuo operi soltanto alla morte del titolare dei beni che vi rientrino, e non già alla morte dell’altro coniuge.“
Per gli altri diritti successori del coniuge superstite si tenga poi conto del diritto di abitazione sulla casa già adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano.
Per quanto riguarda il pagamento del saldo del conto corrente da parte dell’istituto di credito, si ricorda che:
La banca può pagare il saldo del conto corrente soltanto se, ai sensi dell’art. 48, comma 4, del testo unico in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni, sia stata ad essa presentata la dichiarazione di successione ovvero con il consenso di tutti i coeredi e secondo le loro rispettive quote, seguendo le regole della divisione ereditaria che sul piano processuale impongono il litisconsorzio necessario.
Quanto sopra vale anche per l’ipotesi in cui il conto corrente sia stato cointestato a firma disgiunta e pertanto il contitolare superstite stia esercitando un proprio diritto contrattuale, non agendo quale erede ma quale creditore della stessa (solidarietà attiva).
Pertanto la citata norma di diritto tributario influisce e paralizza le norme civilistiche statuendo che alla morte dell’intestatario del conto corrente, come di un libretto di risparmio o di un deposito titoli in amministrazione, la banca debba bloccare qualsiasi ulteriore operazione, anzitutto di pagamento, fino a quando non sia stata a essa esibita una dichiarazione di successione che sia comprensiva appunto di tali rapporti pena, per l’istituto di credito, una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta ovvero della maggior imposta dovuta.
Per quanto riguarda invece una cassetta di sicurezza intestata al defunto o cointestata:
Il medesimo articolo 48 vieta ai cointestatari delle cassette di sicurezza di aprire le stesse prima di aver sottoscritto, su un registro tenuto dalla banca, una dichiarazione con l’indicazione della data e dell’ora dell’apertura e con attestazione che le eventuali altre persone aventi facoltà di aprire le cassette sono tuttora in vita.
Dopo la morte dell’intestatario — o di uno di essi — le cassette possono essere aperte solo alla presenza di un funzionario dell’amministrazione finanziaria o di un notaio, che redige l’inventario del contenuto.
La consegna del contenuto delle cassette di sicurezza agli aventi diritto (gli eredi oppure i legatari) può avvenire solo dopo la presentazione della dichiarazione di successione.
molto interessante e dettagliato chiaramente
ringrazio