Esaminiamo l’ipotesi dei coniugi in regime patrimoniale di comunione legale dei beni quando il conto corrente bancario – con saldo attivo – sia intestato ad uno solo di essi.
In base a quale dei due coniugi deceda per primo, se quello intestatario del conto corrente o l’altro, si verificano conseguenze diverse:
1. Nel caso in cui deceda il coniuge che è titolare del rapporto bancario, se le somme rappresentano proventi non consumati dell’attività del defunto, il saldo sarà oggetto di comunione de residuo.
Il conto corrente non è compreso, vigente matrimonio, nella comunione legale “immediata” poiché questa riguarda gli “acquisti“, cioè gli atti implicanti o il trasferimento della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima.
E’ opinione maggioritaria in Giurisprudenza che il saldo attivo del conto corrente rientra nella comunione differita – c.d. “de residuo” – di cui agli articoli 177 e 178 del codice civile, e che include, tra l’altro:
– “i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione” (articolo 177, lettera b, del c.c.);
– “i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati” (articolo 177, lettera c, del c.c.).
Quanto sopra è oggetto della comunione solo se non consumato al momento dello scioglimento di questa.
Se, allora, non sia dimostrato che il denaro depositato sul conto corrente sia escluso dalla comunione (perché il coniuge ne era titolare prima del matrimonio o l’aveva ricevuto per donazione o successione) si rientrerà nell’ipotesi di cui all’art. 177, comma 1, lett. b, c.c.
Per il combinato disposto degli articoli 149, comma 1, e 191, comma 1, c.c., allo scioglimento del regime patrimoniale, in conseguenza della morte dell’intestatario del conto corrente, il saldo viene dunque a spettare per metà al coniuge superstite, non per successione, ma iure proprio.
E’ sull’altra metà che si aprirà la successione ereditaria, che, in mancanza di testamento, è regolata dalla legge e alla quale, per legge, sarà chiamato anche il coniuge superstite.
Quanto sopra, se è opinione costante della giurisprudenza, anche tributaria (fra le altre CTR Toscana sentenza n. 2482/2014; CTR Piemonte n. 263/6/14 del 31/1/2014; Commissione Tributaria Ancona n. 46/2005 confermata dalla Sentenza Cass. Civ. sez. trib. n. 4393/2011), trova una prassi non uniforme nelle circolari dell’Agenzia delle Entrate in ordine agli orientamenti sulla corretta compilazione della dichiarazione di successione.
Si noti, infatti, che sarebbe coerente che in dichiarazione di successione sia indicata solo la somma destinata a cadere effettivamente in successione, evitando così che lo stesso importo fosse conteggiato due volte (alla morte dell’intestatario del conto e poi del coniuge di questi) per il calcolo delle aliquote dipendenti dalla successione della stessa coppia.
La Risposta n. 398/2022, invece, permette all’AE di affermare che: “con riferimento alla disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni, l’articolo 9 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 dispone, in via generale, che l’attivo ereditario è costituito da tutti i beni e diritti che formano oggetto della successione, ad esclusione di quelli non soggetti all’imposta ai sensi degli articoli 2, 3, 12 e 13.“
Questo perché il successivo articolo 11 del medesimo d.lgs. individua determinati beni e diritti per i quali opera una presunzione di appartenenza all’attivo ereditario, tra i quali al comma 1, lettera b) sono individuati “i beni mobili e i titoli al portatore di qualsiasi specie posseduti dal defunto o depositati presso altri a suo nome“.
Il comma 2 del richiamato articolo 11 dispone poi che “Per i beni e i titoli di cui al comma 1, lettera b), depositati a nome del defunto e di altre persone, per le azioni e altri titoli cointestati e per i crediti di pertinenza del defunto e di altre persone, compresi quelli derivanti da depositi bancari e da conti correnti bancari e postali cointestati, le quote di ciascuno si considerano uguali se non risultano diversamente determinate“.
La norma introduce una presunzione secondo la quale, in presenza di depositi bancari e conti correnti bancari e postali cointestati, le quote di ciascun cointestatario si presumono uguali, salvo che non risultino diversamente determinate.
Pertanto, nell’ipotesi in cui il deposito o il conto risultino intestati ad un solo soggetto, si considera compreso nell’attivo ereditario l’intero ammontare.
Per quanto concerne la base imponibile relativamente ai crediti compresi nell’attivo ereditario, l’articolo 18 del d.lgs. n. 346 del 1990 dispone che essa è determinata assumendo “a) per i crediti fruttiferi, il loro importo con gli interessi maturati; b) per i crediti infruttiferi con scadenza dopo almeno un anno dalla data dell’apertura della successione, il loro valore attuale calcolato al saggio legale di interesse; c) per i crediti in natura, il valore dei beni che ne sono oggetto; d) per il diritto alla liquidazione delle quote di società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice e di quelle ad esse equiparate ai fini delle imposte sui redditi, di cui all’art. 2289 del codice civile, il valore delle quote determinato a norma dell’art.16 “.
Con riguardo alla fattispecie del conto corrente intestato al solo de cuius in regime di comunione legale del beni, nella circolare n. 53 del 6 dicembre 1989 è stato ancora precisato che non può ritenersi facente parte della comunione legale e, conseguentemente, cadere in successione, soltanto la metà della somma depositata in conto corrente (cioè la quota corrispondente al 50% del saldo del conto corrente esistente alla data della morte del coniuge intestatario), ma l’intero importo del conto corrente.
La tesi secondo cui anche i diritti di credito derivanti da deposito bancario formerebbero oggetto della comunione legale c.d. “de residuo” – e quindi già nella titolarità al 50% del coniuge superstite iure proprio – si fonda sul presupposto che le somme di cui trattasi siano riferibili specificamente ed esclusivamente a frutti di beni personali o a proventi dell’attività separata di uno dei coniugi, che si trovino ad essere non consumati al momento dello scioglimento della comunione (per effetto del decesso del coniuge).
La stessa circolare precisa che “fino a dimostrazione contraria (la quale, peraltro, ben difficilmente potrebbe presentare i requisiti di certezza idonei) non possa superarsi l’apparenza della situazione giuridica creata con l’intestazione del deposito ad uno solo dei coniugi“.
Secondo l’Ufficio tali conclusioni non appaio in contrasto con quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4393 del 2011 relativa alla possibilità di ricondurre nella comunione ai sensi dell’articolo 177 del c.c. anche i crediti.
I giudici di legittimità, come detto, hanno sempre ribadito che anche il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato, in regime di comunione legale dei beni, soltanto ad uno dei coniugi, e nel quale siano affluiti proventi dell’attività svolta dallo stesso, deve considerarsi facente parte della comunione legale dei beni al momento del decesso dell’intestatario stesso, con la precisazione che “lo scioglimento attribuisce al coniuge superstite il diritto al riconoscimento di una contitolarità propria sulla comunione e, attesa la presunzione di parità delle quote, un diritto proprio, e non ereditario, sulla metà dei frutti e dei proventi residui, persino anche nelle ipotesi in cui essi fossero stati esclusivi del coniuge defunto“.
L’AdE conclude, quindi, che debba costituire oggetto di dichiarazione ai fini dell’imposta di successione l’intero importo del saldo del conto corrente intestato al de cuius, fatta salva la dimostrazione da parte del contribuente che sussistono i presupposti per applicare il regime della comunione legale differita.
Deve segnalarsi la pronuncia della Suprema Corte n. 4393 del 2011 che reca il seguente principio di diritto :
“In tema di imposta sulle successioni, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la comunione legale sui titoli (quali azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento etc) in deposito presso banche (c.d. dossier) ed anche la comunione differita – o “de residuo” – sui saldi attivi dei depositi in conto corrente, l’attivo ereditario, sul quale determinare l’imposta, è costituito soltanto dal 50% delle disponibilità bancarie, pure se intestate al solo “de cuius”. (conforma anche Cass. 19567 del 2008)”
2. Morte del coniuge non intestare del conto e comunione legale
Più problematica si presenta l’ipotesi in cui si verifichi per prima la morte del coniuge che non è titolare del conto o del libretto, essendo i “risparmi” versati solo sul conto corrente del coniuge superstite.
Sciogliendosi, naturalmente, anche in questa ipotesi la comunione legale dei beni, per quanto detto sopra, si giungerebbe alla conclusione secondo cui, l’intestatario superstite dovrebbe versare la metà del saldo dei suoi conti correnti bancari agli eredi del coniuge premorto.
Pur essendo anche stata seguita dalla giurisprudenza di merito, tale soluzione è tuttavia difficilmente giustificabile dal punto di vista teorico e, comunque, irragionevole da quello pratico.
“Si deve viceversa ritenere che, laddove i beni cadano in comunione di residuo perché è deceduto uno dei coniugi, tale comunione, trattandosi pur sempre di un regime patrimoniale della famiglia, possa operare esclusivamente a vantaggio del coniuge superstite, e non già di quello premorto (ossia, in realtà, dei suoi eredi).”
Così il Prof. Pietro Sirena Ordinario di Diritto Privato, Università Bocconi, in “Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile” a cura della Fondazione Italiana del Notariato:
L’equiparazione delle due ipotesi si porrebbe infatti palesemente in contrasto con la ragione che giustifica l’istituto della comunione legale.
Tale ragione è costituita dalla solidarietà tra i coniugi, la quale può essere intesa come una specificazione della loro eguaglianza morale e giuridica (art. 29, comma 2, Cost).
In particolare, la disciplina della comunione legale dei beni è finalizzata a far sì che ciascuno dei coniugi tragga beneficio dagli acquisti e dagli incrementi patrimoniali che l’altro ha conseguito durante il matrimonio, sul presupposto che vi abbia almeno indirettamente contribuito mediante il proprio lavoro all’esterno o all’interno della famiglia.
Movendo da tali assunti, è agevole intendere che la comunione legale operi a favore del coniuge superstite, consentendogli di beneficiare di quanto sia medio tempore affluito nel patrimonio di quello deceduto. Non è altrettanto agevole intendere perché, alla morte dell’altro coniuge, quello superstite dovrebbe dividere tali suoi beni con gli eredi del coniuge premorto, considerato che nei loro confronti non si può per definizione porre quell’esigenza di solidarietà coniugale che, secondo quanto si è giàdetto, costituisce la ragione giustificativa della comunione legale dei beni.
Anche dal punto di vista più strettamente effettuale, si deve rilevare che la comunione legale dei beni costituisce un meccanismo di riequilibrio patrimoniale tra i coniugi, il quale non può non operare che a vantaggio di uno di essi. Qualora operasse anche nell’ipotesi di cui si tratta, tale meccanismo non andrebbe a vantaggio di uno dei coniugi, bensì immediatamente ed esclusivamente degli eredi di quello premorto, senza che quest’ultimo sia mai stato titolare o contitolare di quelle posizioni giuridiche soggettive nelle quali si dovrebbe verificare la successione a causa della sua morte.
La dottrina che ha invece sostenuto tale tesi è stata costretta ad ammettere che, prima della propria morte, ciascun coniuge sia titolare di un’aspettativa sui conti correnti dell’altro e che, morendo, tale sua aspettativa si trasformi in un vero e proprio diritto di credito, il quale sarebbe direttamente acquistato dai suoi eredi. Anche senza voler indugiare sulla intrinseca fragilità di tale soluzione, si pensi all’ipotesi, peraltro ricorrente, in cui tra gli eredi vi sia proprio il coniuge superstite, ossia il titolare del conto corrente. Si dovrebbe allora ritenere che, alla morte dell’altro coniuge, la metà del saldo sia perduta dal suo titolare per effetto della comunione di residuo, andando così in capo non all’altro coniuge (che è morto), ma ai suoi eredi, e proprio per questo che il coniuge superstite contestualmente riacquisti il proprio denaro, ma secondo la quota che gli spetta dell’eredità.
A contrario, si può rilevare che un diritto degli eredi dei coniugi al «prelevamento dei beni mobili» è espressamente riconosciuto dal legislatore solo riguardo a «beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione» (art. 195 c.c.): si tratta pertanto di beni che, ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. a – b, c.c., «non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali dei coniugi».
La medesima regola non è viceversa preveduta dal legislatore e non sembra comunque applicabile ai beni (e ai crediti) che costituiscono oggetto della comunione, ancorché di residuo.
Si deve dunque ritenere che, per le ragioni che sono state sopra esposte, la comunione de residuo operi soltanto alla morte del titolare dei beni che vi rientrino, e non già alla morte dell’altro coniuge.“
Per gli altri diritti successori del coniuge superstite si tenga poi conto del diritto di abitazione sulla casa già adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano.
Per quanto riguarda il pagamento del saldo del conto corrente da parte dell’istituto di credito, si ricorda che:
La banca può pagare il saldo del conto corrente soltanto se, ai sensi dell’art. 48, comma 4, del testo unico in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni, sia stata ad essa presentata la dichiarazione di successione ovvero con il consenso di tutti i coeredi e secondo le loro rispettive quote, seguendo le regole della divisione ereditaria che sul piano processuale impongono il litisconsorzio necessario.
Quanto sopra vale anche per l’ipotesi in cui il conto corrente sia stato cointestato a firma disgiunta e pertanto il contitolare superstite stia esercitando un proprio diritto contrattuale, non agendo quale erede ma quale creditore della stessa (solidarietà attiva).
Pertanto la citata norma di diritto tributario influisce e paralizza le norme civilistiche statuendo che alla morte dell’intestatario del conto corrente, come di un libretto di risparmio o di un deposito titoli in amministrazione, la banca debba bloccare qualsiasi ulteriore operazione, anzitutto di pagamento, fino a quando non sia stata a essa esibita una dichiarazione di successione che sia comprensiva appunto di tali rapporti pena, per l’istituto di credito, una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta ovvero della maggior imposta dovuta.
Per quanto riguarda invece una cassetta di sicurezza intestata al defunto o cointestata:
Il medesimo articolo 48 vieta ai cointestatari delle cassette di sicurezza di aprire le stesse prima di aver sottoscritto, su un registro tenuto dalla banca, una dichiarazione con l’indicazione della data e dell’ora dell’apertura e con attestazione che le eventuali altre persone aventi facoltà di aprire le cassette sono tuttora in vita.
Dopo la morte dell’intestatario — o di uno di essi — le cassette possono essere aperte solo alla presenza di un funzionario dell’amministrazione finanziaria o di un notaio, che redige l’inventario del contenuto.
La consegna del contenuto delle cassette di sicurezza agli aventi diritto (gli eredi oppure i legatari) può avvenire solo dopo la presentazione della dichiarazione di successione.
molto interessante e dettagliato chiaramente
ringrazio