La natura liberale dell’atto di provenienza espone gli aventi causa dal donatario alle azioni a tutela dei legittimari del donante. (DONAZIONI DIRETTE)
L’azione di restituzione di cui all’art. 563 c.c. è esperibile anche nei confronti dei successivi acquirenti del donatario. Questi, in conseguenza del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione e previa escussione del patrimonio del donatario, perderanno quanto acquistato. Oltretutto non potranno, presumibilmente, nemmeno rivalersi sul loro dante causa: il patrimonio dello stesso, già escusso dal legittimario che ha agito in riduzione, sarà infatti risultato incapiente.
Agli stessi rischi è esposto anche il creditore ipotecario: non essendo l’iscrizione opponibile al legittimario perderà la garanzia del rimborso del suo credito.
Ma come rendere commerciabile od ipotecabile il bene acquistato a titolo di donazione?
I rimedi in astratto utilizzabili hanno fonte legislativa o sono di creazione dottrinaria o pratica.
Invero, quello di fonte legislativa è di sicuro rilievo ma di scarso impatto.
Ci riferiamo alla rinuncia all’azione di opposizione (prevista dal medesimo art. 563 c.c.) da parte dei potenziali legittimari non donatari. Tale rinuncia non ha altra efficacia se non quella di impedire che il termine ventennale dalla trascrizione della donazione – termine che fa “salvo” l’acquisto – venga sospeso ad opera di chi ha diritto ad opporsi alla donazione medesima (i legittimari non gratificati, appunto).
Altro strumento al quale ricorrere per stabilizzare gli effetti di un’attribuzione a favore dei discenti è l’istituto del patto di famiglia. Questo però limitatamente a ciò che ne può costituire oggetto: azienda, partecipazioni sociali comportanti l’assunzione della responsabilità illimitata e partecipazioni in società di capitali che conferiscano al titolare un controllo sull’attività di impresa, o, meglio, siano il mezzo per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Ma quale rimedi possono permettere la “sicura” commerciabilità di un bene immobile prima del decorso del termine ventennale di cui all’art. 563 c.c., senza cadere nel rischio di stipulare un patto successorio, nullo ai sensi dell’art. 458 c.c. o di ricadere nell’ipotesi di cui all’art. 549 c.c.?
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LA FIDEIUSSIONE
Uno dei rimedi più diffusi nella prassi per tutelare il terzo acquirente (o la banca mutuante) è rappresentato dallo strumento della fideiussione indennitaria.
Attraverso questo strumento si vuol garantire l’adempimento di un’obbligazione risarcitoria che assume il donatario-venditore nel contratto di alienazione del bene già donatogli (la garanzia per evizione è, infatti, pacificamente ritenuta amputabile anche ai fatti successivi all’atto traslativo) per l’ipotesi in cui il terzo acquirente (o l’istituto di credito garantito) dovesse essere privato del bene a fronte del vittorioso esperimento dell’azione di restituzione.
Per valutare la legittimità o, quanto meno, l’affidabilità di questo strumento occorre fare delle precisazioni.
Con riferimento all’ipotesi in cui la garanzia fideiussoria sia offerta dal donante o direttamente dai legittimari si darebbe luogo ad un meccanismo non compatibile con il sistema di tutele posto a favore dei riservatari. Con la concessione della garanzia, infatti, i legittimari sostanzialmente si spoglierebbero – vivente il donante – delle tutele inderogabili poste in loro favore dalle legge, implicitamente rinunciando all’azione di riduzione.
Ciò anche se la garanzia medesima fosse prestata unicamente dal donante, il quale si obblighi per se e per i suoi aventi causa: la si potrebbe riqualificare (come ha fatto la giurisprudenza anche recentemente) come un peso sulla quota di legittima, nullo ai sensi dell’art. 549 c.c.
Nel contesto del rimedio fideiussorio, l’unico strumento idoneo a evitare l’effetto distorsivo sopra evidenziato sembra rimanere solamente quello della fideiussione bancaria o della polizza fideiussoria assicurativa.
Tale soluzione pur essendo idonea a scongiurare i pericoli della corrispondente garanzia prestata direttamente o indirettamente dai legittimari, appare però un rimedio poco utilizzato nella prassi essendo i suoi costi molto alti.
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IL MUTUO DISSENSO
E’ forse lo strumento attualmente più usato, soprattutto dopo l’inquadramento fiscale riconosciutogli dall’Agenzia delle Entrate.
Con il mutuo dissenso le parti intendono risolvere un contratto fra le stesse stipulato, revocando il rispettivo consenso.
La configurazione giuridica del mutuo dissenso passa dalla figura del “contrarius actus” a quella della natura meramente risolutiva.
– per chi aderisce alla ricostruzione del medesimo quale contrarius actus ovvero un atto uguale ma contrario (a parti invertite) a quello già stipulato, la stipulazione non risolverebbe il “problema” conseguente alla provenienza donativa. Infatti, assumendo il donatario la parte di donante (e così viceversa) non si farebbe altro che, potenzialmente, aumentare i rischi: ai legittimari del primo donante si aggiungerebbero anche quelli del secondo donante (già donatario). La critica a questa ricostruzione discende soprattutto dalla circostanza che il donatario non è animato da spirito di liberalità nel compiere l’atto con conseguente mancanza di causa dell’atto.
– altra ricostruzione seguita in dottrina (e accolta anche dall’A.E.) è quella che qualifica l’atto di mutuo dissenso come meramente risolutorio. Le parti, si dice, non avrebbero altro scopo che quello di porre nel nulla la stipulazione già conclusa. Tale possibilità è nella stessa nozione di contratto di cui all’art. 1321 c.c.: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.”. Occorre però una precisazione: non tutti i contratti possono essere risolti per mutuo consenso ma solo quelli per i quali non si è disposto del conseguente rapporto. Ciò in quanto i terzi non potranno essere pregiudicati dalla risoluzione. In altre parole, la situazione da “ricrearsi” deve essere quella iniziale e ciò sarà possibile solo se della situazione giuridica acquistata in conseguenza della stipulazione (donazione) il donatario non ne ha disposto o se, comunque, terzi non possano vantare diritti o pretese sulla medesima. (Se sul bene donato un terzo iscrive un’ipoteca giudiziale non sarà quindi possibile risolvere la donazione pregiudicando il creditore).
NB: il mutamento intervenuto nello stato di fatto dell’oggetto della donazione non rappresenta elemento ostativo al perfezionamento di un valido atto di mutuo dissenso del detto contratto di donazione.
Dopo la stipulazione della contratto di mutuo dissenso sarà l’originario donante a stipulare il contratto di vendita del bene.
Se il soggetto “non più donante” vorrà comunque beneficiare il soggetto “già donatario” potrà, in sede di stipulazione del successivo contratto di vendita a terzi di quello stesso bene, fare in modo che il corrispettivo della vendita sia versato direttamente a favore del medesimo “non più donatario”. In tal modo si realizzerà una liberalità indiretta – utilizzando lo strumento dell’art. 1411 cc (contratto a favore del terzo) o una delegazione di pagamento – che prenderà “il posto” di quella diretta ai fini – se del caso – dell’imputazione.
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LA RINUNCIA ALL’AZIONE DI RESTITUZIONE
L’art. 557 comma 2 c.c. statuisce che i legittimari non possono rinunciare al diritto di agire in riduzione finché vive il donante.
La tutela dei diritti dei legittimari ha rilevanza costituzionale (nel principio della solidarietà familiare) e portata reale.
Lo strumento al quale tale tutela è affidata è, principalmente, l’azione di riduzione. Mediante questa azione il soggetto leso o pretermesso può far dichiarare l’inefficacia delle disposizioni – testamentarie o liberali – che lo pregiudicano. Ottenuta tale pronuncia, dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio del beneficiario delle disposizioni ormai inefficaci, il legittimario leso potrà anche agire contro i terzi aventi causa dal medesimo. Questa possibilità deriva da una particolare (sub)azione, avente appunto portata reale (perché segue il bene che già faceva parte del patrimonio del de cuis), che è l’azione di restituzione.
Dottrina notarile (Ubaldo La Porta) ha enfatizzato le differenze fra l’azione di riduzione e l’azione di restituzione: “il rapporto tra azione di riduzione e azione di restituzione è rapporto tra azioni che tutelano beni giuridici diversi, utilità diverse espressive d’interessi patrimoniali diversi: la riduzione tutela l’interesse del legittimario ad ottenere la delazione; la restituzione tutela l’interesse del legittimario a vedere composta la sua quota di legittima dal bene in natura”.
Le due azioni sarebbero, infatti, strutturalmente e funzionalmente del tutto differenti, essendo la prima (quella di riduzione) solo l’antecedente logico alla seconda, la quale, tra l’altro, è anche eventuale. Vi è una diversità di petitum tra le due azioni e, pure, una legittimazione passiva differente. Inoltre, con la riforma all’art. 563 c.c., si è prevista la stabilizzazione degli effetti della donazione per il maturare del termine ventennale dalla trascrizione della stessa (senza opposizione). Stabilizzazione nel senso di perdita, per il legittimario leso, del diritto di agire in restituzione. E ciò anche se il donante è ancora in vita e sempre salva la possibilità di agire “solamente” in riduzione una volta apertasi la successione.
Se ne deduce che è lo stesso legislatore a distinguere le due azioni, permettendo la perdita della sola azione di restituzione per l’inerzia del legittimario leso. Se tale inerzia comporta la detta conseguenza, allora il legittimario potrà non solo – a mezzo dell’opposizione alla donazione – sospendere il termine ventennale dalla trascrizione della donazione per conservare la possibilità di agire in restituzione di quel determinato bene, ma anche, volontariamente ed espressamente, rinunciare a detta tutela reale. Giurisprudenza e dottrina notarile sono concordi nell’ammettere tale possibilità di rinuncia vivente il donante. E’ esclusa infatti per detta rinuncia la natura di patto successorio rinunziativo: il legittimario non dismette la tutela garantitagli dall’azione di riduzione ma esclusivamente la possibilità di recuperare quel determinato bene alla massa ereditaria. La detta rinunzia ben potrà essere anche verso corrispettivo.
La rinuncia all’azione di restituzione sarà conseguentemente annotata a margine della trascrizione dell’atto donativo potenzialmente lesivo con funzione di pubblicità notizia.
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