Disciplina legale e deroghe testamentarie alla sorte dei crediti e debiti presenti nel patrimonio ereditario all’apertura della successione.
Il dibattito sulla sorte dei crediti ereditari è costruito, per un verso, intorno al binomio solidarietà-parziarietà dell’obbligazione e, per altro verso, intorno al concetto di comunione ereditaria ed al suo confronto con l’istituto della comunione ordinaria.
LA DIVISIONE AUTOMATICA DEI CREDITI (l’opinione tradizionale)
Per tradizione romanistica i crediti ed i debiti si dividono automaticamente tra i coeredi all’apertura della successione.
Se questa tradizione è ancora oggi rispettata per i debiti, giusto quanto disposto dagli artt. 752 e 754 C.C., il principio è stato messo in discussione da quella dottrina e giurisprudenza, ad oggi dominante, che ritiene che i crediti cadano in comunione ereditaria.
La tesi tradizionale ritiene che I CREDITI ED I DEBITI SI DIVIDONO AUTOMATICAMENTE TRA I COEREDI e si basa:
- sul disposto dell’art. 1295 C.C. che stabilisce che, salvo patto contrario, L’OBBLIGAZIONE SI DIVIDE TRA GLI EREDI DI UNO DEI CONDEBITORI O CONCREDITORI IN SOLIDO IN PROPORZIONE ALLE RISPETTIVE QUOTE;
- e su quanto statuito dall’art. 1314 C. C. che recita: “SE Più SONO I CREDITORI DI UNA PRESTAZIONE DIVISIBILE E L’OBBLIGAZIONE NON è SOLIDALE CIASCUNO DEI CONCREDITORI NON Può DOMANDARE DI ESSERE SODDISFATTO CHE PER LA SUA PARTE.”
- A sostegno della stessa tesi, il disposto dell’art. 1772 C.C. in tema di DEPOSITO (argomentando a contrario),CHE denoterebbe l’intento del legislatore di differenziare la disciplina prevista per le cose divisibili da quella prescritta per le cose indivisibili, dettando solo per le prime la facoltà di pretendere, da parte di ogni coerede depositante, la restituzione della sola propria parte (Burdese).
- Un altro argomento viene poi tratto dalla norma dell’art. 1301 C.C. nella parte in cui dispone che, «se la remissione è fatta da uno dei creditori in solido, essa libera il debitore verso gli altri creditori solo per la parte spettante al primo»: il fatto che il credito si estingua per la quota del rinunciante sarebbe prova che esso non cade in comunione, perché altrimenti la rinuncia avrebbe dovuto comportare l’accrescimento per le quote degli altri.
Sulla posizione così delineata la giurisprudenza si è attestata per anni, conseguentemente negando che ciascun coerede potesse rivendicare nulla più che la porzione di credito a lui spettante secondo la suddivisione delle quote ereditarie (Cass. 5.5.1999, n.4501; Cass., 9.8.2002, n. 12129)
La tesi più moderna, accolta anche da più recenti sentenze della Corte di Cassazione, è nel senso di ritenere che il principio di divisione automatica operi per i debiti, ma non anche per i crediti:
I CREDITI EREDITARI: l’opinione attualmente maggioritaria
La dottrina e la giurisprudenza più recenti sono giunte alla conclusione che non sono rilevanti, al fine di definire la sorte del credito caduto in successione, gli argomenti basati sulle norme codicistiche prima richiamate, in quanto queste ultime si occupano di una particolare ipotesi, ovvero di obbligazioni già solidali, e le relative deduzioni sono perciò frutto di un’indebita sovrapposizione tra i concetti di contitolarità del credito e di solidarietà attiva.
Si deve, invece, fare riferimento alle norme specifiche dettate in tema di DIVISIONE EREDITARIA, le quali presuppongono che i crediti cadano in comunione ereditaria e quindi restano in comune fino alla divisione.
Le disposizioni a suffragio di tale ricostruzione sono:
- l’art. 727 C.C. che prevede che le porzioni, in sede di divisione ereditaria, siano formate comprendendo, appunto, i crediti;
- l’art. 760 C.C. che fa riferimento al credito “assegnato”;
- l’art. 757 C.C. che sancisce la retroattività della divisione e estende il suo campo di applicazione anche ai crediti.
Non vi è dubbio che queste norme, facendo riferimento, appunto, alla divisione ereditaria, presuppongano che i crediti siano ricompresi nella comunione fra gli eredi, e che, conseguentemente, gli stessi siano soggetti al relativo regime.
La ratio della scelta legislativa è stata individuata nell’esigenza di tutela degli stessi coeredi e nel tentativo di facilitare le operazioni divisionali.
Operando sul diverso piano dell’attuazione del credito, la giurisprudenza ne ha derivato un’esigenza di litisconsorzio necessario fra i contitolari.
Non si è arrivati, però, ad escludere in tutte le ipotesi che uno dei contitolari possa agire per l’adempimento dell’intero credito, salvo poi destinare il ricavato nella massa ereditaria:
Cass. Civ. SEZIONI UNITE n. 24657/2007:
“I crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727 c.c., il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757 c.c., il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l’unico credito succede nel credito al momento dell’apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione; è, inoltre, confermata dall’art. 760 c.c., che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione; né, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 dello stesso codice, concernendo il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra il de cuius ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale. Conseguentemente, ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l’intervento di questi ultimi in presenza dell’interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito”.
Conforme Cass., 16.4.2013, n. 9158: “ricostruiti come appartenenti anche i crediti del de cuius alla comunione ereditaria fino allo scioglimento di questa, ciascuno dei partecipanti alla medesima può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, ovvero scegliere di agire per la sola parte proporzionale alla quota ereditaria“
Cass., ord. 24 gennaio 2012, n. 995: “Trova, così, applicazione il principio generale, secondo cui ciascun soggetto partecipante alla comunione può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune“
In conseguenza di quanto sopra, il credito caduto in successione, in caso di pluralità di eredi, viene a trovarsi in una situazione peculiare:
escludendosi il ricorso alla figura della comunione ordinaria del credito, viene ad ammettersi quella, diversa in quanto “a mani riunite”, della “comunione ereditaria del credito“.
Non si applica, infatti, al credito che spetta a più persone, il regime degli artt. 1100 e ss. Cod. Civ. relativi alla comunione ordinaria. Infatti, la rinuncia da parte di un contitolare non comporta l’espansione delle quote degli altri (come accade in ipotesi di comproprietà di un bene) ma l’estinzione della relativa pretesa per la parte rinunciata, a vantaggio del debitore.
Si applica, però, nell’ipotesi in esame, il regime della comunione ereditaria.
Pertanto, il coerede che intende disporre in costanza di detto regime (prima della divisione ereditaria) del credito caduto in successione, lo potrà fare solo sotto la condizione sospensiva che il credito stesso gli venga assegnato in sede di divisione o, semmai, quale diritto altrui, assumendo l’obbligo di procurarne la titolarità al cessionario.
- IL CONTO CORRENTE BANCARIO DEL DEFUNTO
La banca può pagare il saldo del conto corrente soltanto se, ai sensi dell’art. 48, comma 4, del testo unico in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni, sia stata ad essa presentata la dichiarazione di successione ovvero con il consenso di tutti i coeredi e secondo le loro rispettive quote, seguendo le regole della divisione ereditaria che sul piano processuale impongono il litisconsorzio necessario.
Quanto sopra vale anche per l’ipotesi in cui il conto corrente sia stato cointestato a firma disgiunta e pertanto il contitolare superstite stia esercitando un proprio diritto contrattuale, non agendo quale erede ma quale creditore della stessa (solidarietà attiva).
Pertanto la citata norma di diritto tributario influisce e paralizza le norme civilistiche statuendo che alla morte dell’intestatario del conto corrente, come di un libretto di risparmio o di un deposito titoli in amministrazione, la banca debba bloccare qualsiasi ulteriore operazione, anzitutto di pagamento, fino a quando non sia stata a essa esibita una dichiarazione di successione che sia comprensiva appunto di tali rapporti pena, per l’istituto di credito, una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta ovvero della maggior imposta dovuta.
Ne consegue che, deceduto uno dei contitolari di tali rapporti, il pagamento della sua quota del saldo sarà oggettivamente inesigibile fino all’esibizione della relativa documentazione.
Nel caso il soggetto deceduto sia stato coniugato in regime patrimoniale di comunione legale dei beni, si veda qui.
I DEBITI EREDITARI
Per quanto riguarda i debiti ereditari, l’art. 752 c.c. statuisce che delle passività rispondono gli eredi in proporzione delle rispettive quote, senza vincolo di solidarietà (dividendosi queste automaticamente all’apertura della successione) e con tutto il loro patrimonio personale (salvo che gli stessi eredi abbiano accettato l’eredità con beneficio d’inventario).
Pertanto, ove il coerede sia stato costretto a pagare una somma superiore a quella cui era tenuto, egli ha diritto di richiedere agli altri coeredi, ciascuno per la sua quota di debito, quanto pagato in eccedenza. Qualora, però, un coerede non sia in grado di pagare la sua parte, il pregiudizio viene sopportato dal coerede che ha pagato.
Se un creditore del de cuius si rivolge ad un coerede per il pagamento dell’intero credito, quest’ultimo avrà l’onere di eccepire la circostanza di essere obbligato solo per la porzione di debito corrispondente alla sua quota ereditaria (la natura parziaria dell’obbligazione).
Le norme in base alle quale si ricava un principio opposto a quello dei crediti ereditari sono:
- L’art. 752 c.c. che stabilisce che “I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto“.
- Così l’art. 754 c.c. che dispone al primo comma: “Gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria e ipotecariamente per l’intero. Il coerede che ha pagato oltre la parte a lui incombente può ripetere dagli altri coeredi soltanto la parte per cui essi devono contribuire a norma dell’articolo 752 c.c., quantunque si sia fatto surrogare nei diritti dei creditori.”.
- Poi l’art. 755 c.c. che prevede poi l’ipotesi dell’insolvenza di uno degli eredi prevedendo che la sua quota di debito ipotecario venga ripartita in proporzione tra tutti gli altri coeredi.
QUANTO SOPRA – OVVERO LA RIPARTIZIONE AUTOMATICA DEI DEBITI TRA GLI EREDI IN PROPORZIONE DELLE RISPETTIVE QUOTE – SALVO, come si legge nell’ultimo inciso del più volte citato art. 752 c.c., IL TESTATORE ABBIA ALTRIMENTI DISPOSTO.
MA COSA COMPORTA UNA DISPOSIZIONE TESTAMENTARIA IN DEROGA ALLA PREVISIONE LEGALE?
Il testatore infatti potrebbe:
- imporre il pagamento dei debiti ereditari unicamente su un coerede:
– in questa ipotesi, valida se l’erede onerato non sia stato istituito nella sola quota di legittima (ex art. 549 c.c.), i creditori potranno agire per l’intero credito nei confronti dell’erede onerato medesimo.
Per spostare su un unico erede oltre che la responsabilità del debito (ferma la regola di cui infra) anche il peso economico dello stesso (e, dunque, evitare che l’erede onerato del pagamento ai sensi dell’art. 752 c.c. non agisca in rivalsa, pro quota, verso gli altri coeredi) il testatore dovrà prevedere anche un legato di liberazione da detto debito o da detti debiti a favore degli altri coeredi e a carico dell’onerato.
- prevedere che gli eredi rispondano dei debiti ereditari in quote diverse da quelle in cui sono istituiti.
- prevedere la solidarietà passiva tra gli eredi.
A prescindere pero’ dalla volonta’ espressa dal testatore, LA REGOLA GENERALE E’ CHE DETTE DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE VARRANNO UNICAMENTE NEI RAPPORTI INTERNI TRA GLI EREDI MEDESIMI E NON POTRANNO, QUINDI, OPERARE IN PREGIUDIZIO AI CREDITORI EREDITARI.
Pertanto, anche in presenza di una disposizione testamentaria in deroga al principio di cui all’art. 752 c.c., non potrà mai pregiudicarsi la posizione dei creditori ereditari. Questi ultimi, infatti, avranno sempre diritto di chiedere l’adempimento dell’obbligazione a ciascun coerede in maniera proporzionale alla rispettiva quota di eredità (o per la quota maggiore di responsabilità stabilita dal testatore fino all’intero se, appunto, questa è stata la volontà testamentaria espressa o se il testatore abbia previsto unicamente la solidarietà passiva – in tale ultimo caso chi adempie avrà comunque diritto al proporzionale rimborso).
Ulteriore eccezione alla parziarità della responsabilità è prevista dall’art. 754 c.c. per il caso in cui il credito sia già garantito da ipoteca (o pegno) su uno degli immobili compresi nell’asse ereditario: in tale ipotesi l’assegnatario del bene risponderà per intero. Sempre salva la rivalsa, se non è stato diversamente stabilito.
La disciplina di ripartizione dei debiti e pesi ereditari tra i coeredi in proporzione delle loro quote, salvo che il testatore abbia diversamente disposto, ai sensi dell’art. 752 cod. civ., opera per i debiti e pesi presenti nel patrimonio del “de cuius” al momento della morte, nonché per quelli sorti in immediata conseguenza della successione ereditaria (come ad esempio le spese funerarie, quelle notarili di pubblicazione del testamento ecc.), e non anche per i debiti venuti occasionalmente ad esistenza dopo la morte di quello a causa della condotta degli eredi, i quali non adempiano ad obbligazioni che pur traggono i propri presupposti remoti da atti o fatti riconducibili alla sfera patrimoniale del defunto. (Cass. 8900/13).
In sostanza, non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 754 c.c. “quelle obbligazioni che trovino causa nella libera condotta degli eredi, i quali non adempiano obbligazioni che, sebbene derivino i propri presupposti remoti da atti o fatti riconducibili alla sfera patrimoniale del de cuius, siano sorte successivamente alla sua morte, conseguendo da essa in senso non giuridico, ma soltanto occasionale” (Cass. 11801/21).
NB: posizione del tutto peculiare ha il legittimario pretermesso (ossia non contemplato da un testamento che attribuisca il titolo di erede ad altri). Questi, infatti, potrà agire in riduzione avverso le disposizioni a lui lesive ma – per opinione ancora non pacifica in dottrina e giurisprudenza – non acquisterà la qualità di erede in spregio alla volontà del de cuius. In caso di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, avrà, infatti, diritto ad un netto attivo rappresentante il risultato della formula “relictum + donatum – debiti”. Pertanto risponderà dei debiti ereditari solo indirettamente (la presenza dei debiti certamente andando a modificare il risultato del calcolo suddetto), non potendo i creditori ereditari agire nei suoi confronti. In caso di debiti sopravvenuti, successivi all’azione di riduzione, e non ancora prescritti, gli eredi avranno diritto a chiedere un ricalcolo – in diminuzione – della porzione di patrimonio riconosciuta a detto legittimario.
Il legatario non risponde dei debiti ereditari salvo che il testatore non lo abbia espressamente gravato di tale responsabilità e sempre nei limiti del valore del diritto oggetto di legato e giusto il disposto dell’art. 756 c.c..
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