Le liberalità indirette (o liberalità non donative) costituiscono una categoria eterogenea di negozi giuridici con i quali un soggetto arricchisce volontariamente un terzo usando un mezzo diverso dall’atto tipico di donazione.
Frequenti sono le ipotesi di liberalità non donative che possono ricorrere nella prassi. Al fine di introdurre le riflessioni che seguono, possiamo riportare gli esempi più comuni, come quello:
- del genitore che paga il prezzo dell’abitazione acquistata dal figlio (art. 1180 c.c.);
- del genitore che acquista da terzi l’immobile intestandolo (ex. art. 1411 c.c.) direttamente al figlio;
- del figlio che acquista il bene con denaro fornitogli dal genitore a titolo di prestito quando, successivamente, il genitore medesimo rinunci al credito verso il figlio.
Quelle sopra elencate sono tutte ipotesi riferibili al disposto dell’art. 809 c.c. che al primo comma assoggetta le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769 c.c. alle medesime norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e sopravvenienza dei figli, e a quelle sulla riduzione delle donazioni allo scopo di integrare la quota dovuta ai legittimari.
Altra norma che tratta le liberalità non donative è l’art. 737 c.c. prevedendo che queste ultime, se abbiano come beneficiari figli, discendenti o coniuge, vadano collazionate. In sede di quella che sarà la divisione ereditaria del soggetto che le ha disposte, del valore di tali attribuzioni (l’arricchimento) sarà tenuto conto al fine di garantire la parità di trattamento nell’ambito del nucleo familiare. Dette liberalità indirette, come le donazioni dirette, si considerano, infatti, come attribuzioni effettuate come anticipazione di successione e, si presume, che chi le effettua voglia che delle stesse si tenga conto quando gli eredi si andranno a spartire il patrimonio relitto.
Così, per lo stesso significato di anticipazione successoria, il legittimario che le abbia ricevute dovrà tenerne conto non solo in sede di divisione ma anche qualora, ritenendosi leso dal testamento o da altre donazioni dirette o indirette, decida di agire in riduzione: è il caso dell’imputazione prevista dall’articolo 564 2° comma c.c. quale onere del legittimario che agisca in riduzione.
Così come lo stesso beneficiario sarà soggetto all’azione di riduzione da parte degli altri eventuali legittimari che si reputino lesi da tale atto dispositivo a titolo liberale, proprio come se si trattasse di una donazione diretta.
Sappiamo, però, che il regime di circolazione dei beni provenienti da donazione indiretta – dove appunto il titolo di acquisto non è rappresentato da una donazione ma, appunto, da un diverso atto (es. compravendita) – può essere diverso da quello che “affligge” i beni di provenienza donativa.
Se, infatti, risulta sempre possibile agire in riduzione avverso la donazione diretta o indiretta che sia, non pare più possibile offrire una tutela reale al legittimario leso una volta che il beneficiario dell’attribuzione non donativa abbia alienato a terzi quanto ricevuto. In tal caso, infatti, prevarrà il terzo avente causa senza acquirente di buona fede ed al legittimario non resterà altra tutela che il patrimonio generico del beneficiario già proprietario.
Pertanto, a scapito di una sia pur limitata penalizzazione nella circolazione del bene attribuito, il disponente può avere interesse a far emergere il carattere liberale dell’attribuzione effettuata o dell’arricchimento comunque procurato al beneficiario e, ciò, al fine di sottoporre l’attribuzione effettuate alla corretta disciplina giuridica.
Non essendo imposta da norma di legge, una dichiarazione tendente all’emersione della natura liberale di una fattispecie apparentemente anche onerosa (apparenza che deriva dal mezzo utilizzato e non è derivante da accordo tra le parti, essendo l’ipotesi analizzate del tutto estranee al fenomeno simulatorio) pare opportuna tutte le volte che si intenda rispettare la parità di trattamento tra i successibili.
Ove la stessa mancasse, infatti, il beneficiario della donazione indiretta potrà giovarsi dell’arricchimento anche ulteriormente a quanto gli riserva da legge se legittimario del dante causa. Non dovendo imputare quanto ricevuto potrà agire in riduzione ritenendosi leso dalle altre attribuzioni fatte dal medesimo disponente, così andando a “scardinare” anche il piano successorio fatto da questo ultimo, così ledendo le posizioni degli altri beneficiati.
La detta dichiarazione tendente all’emersione dell’intento liberale da parte del disponente può essere contenuta nello stesso atto compiuto (es. nella compravendita al momento del pagamento del prezzo quale terzo adempiente o, in caso di stipulazione a favore del terzo, andando a costituire l’interesse stesso dello stipulante necessario al fine della deviazione degli effetti favorevoli) ma, in effetti, nella maggior parte delle ipotesi, non vi è nessuna norma che la imponga (salvo opportunità ai fini di accertamento finanziario tendenti ad evidenziare la corretta provenienza della provvista) e, pertanto, se ivi mancante, può anche essere successiva all’atto o attività già compiuta.
L’atto ricognitivo
Come l’autore dell’arricchimento può disvelare il suo intento liberale in sede dell’atto che direttamente produce l’acquisto in favore del beneficiario, così tale soggetto può disvelare il suo intento liberale anche successivamente, a mezzo successivo atto o anche nel testamento.
Farà così emergere la vera natura dell’atto compiuto ai fini di un’equa distribuzione dei proprio bene post mortem.
La dichiarazione di tale soggetto potrà essere unilaterale e verrà a costituire un atto ricognitivo (essendo chiara e non incerta per l’autore la natura dell’atto già compiuto).
Anche il beneficiario dell’arricchimento (che apparentemente non è tale) potrà svelare la vera natura – liberale – dell’atto compiuto. In tal caso egli effettua una confessione stragiudiziale perché ammette un fatto a se sfavorevole ma favorevole ad altri (coeredi legittimari).
L’emersione della vera natura dell’atto compiuto è sicuramente auspicabile ai fini dell’applicazione all’istituto della disciplina che gli è propria.
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[…] Presuppone un fatto o un atto in ordine al quale non v’è incertezza (quanto meno soggettiva) e giova al rafforzamento di una posizione giuridica, limitandosi a rappresentare un fatto, un atto o una circostanza. (Vedasi l’atto ricognitivo dell‘avveramento della condizione o l’atto ricognitivo di una liberalità indiretta). […]