Qualificazione della clausola
Si definisce “drag along” la clausola in forza della quale il socio di maggioranza, volendo vendere le proprie azioni ad un terzo, ha facoltà di vendere a quest’ultimo anche le azioni degli altri soci.
Il vantaggio evidente è nel permettere di poter concludere la trattativa nel caso in cui il terzo voglia necessariamente acquistare il 100% del capitale sociale.
La natura giuridica della clausola viene ricostruita come mandato a riscuotere o, per altri, come opzione di vendita a favore del terzo.
Le accennate ricostruzioni, in ordine alla natura giuridica della clausola, evidenziano come, vigente la stessa in statuto, tutti i soci siano soggetti al comportamento della maggioranza, per un vantaggio di quest’ultima e non per un’interesse propriamente sociale.
La circostanza che l’interesse sia “personale” e meramente patrimoniale del gruppo di maggioranza e non, invece, un interesse proprio della società, porta ad attribuire al consenso all’introduzione della clausola, pur espresso in assemblea, valore negoziale.
I soci, infatti, dispongono di un proprio diritto, quello di continuare a partecipare alla società, ritrovandosi in una posizione di soggezione, poiché è sufficiente che la maggioranza concluda la cessione, per venire espropriati della propria quota di partecipazione.
Per l’accennato rilievo, si è ritenuto che, ai fini di introduzione della clausola in statuto, fosse necessario il consenso unanime dei soci o, comunque, del socio, che, al momento della modifica statutaria, sia nelle condizioni di subire l’applicazione della clausola stessa (così Massima 7 e 8 del consiglio notarile di Roma).
L’orientamento che richiede l’unanimità dei consensi troverebbe fondamento nei principi di parità di trattamento, buona fede nell’esecuzione del contratto e, soprattutto, nella considerazione che le limitazioni al regime proprietario non possono essere imposte solo per legge o con il consenso del titolare del diritto.
A ben vedere, però, i principi richiamati non possono dirsi violati da una deliberazione assunta a maggioranza, se la parità di trattamento sia assicurata dall’equa valorizzazione dell’investimento di ciascun socio, prendendo a parametro il valore riconosciuto al soggetto che, in ipotesi predeterminate o in caso di mutamento significativo delle condizioni del contratto di società, eserciti il diritto di recesso.
La maggioranza può, infatti, porre fine allo stesso contratto di società, deliberando lo scioglimento di quest’ultima, e senza possibilità di reazione da parte della minoranza.
Alla stessa maggioranza, poi, spetta di determinare le modalità di liquidazione del patrimonio sociale fissando i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione (art. 2487 c.c.).
Se ne ricava che il diritto di continuare a far parte della società non è un diritto del quale la volontà assembleare, comunque formatasi, non possa disporre, pur con il voto contrario di un socio, ma sempre che quest’ultimo riceva un trattamento e una “sorte” comune agli altri soci.
Da questo punto di vista, come evidenziato da Trib. Milano, sez. VIII, decr. 22 dicembre 2014, la previsione statutaria in commento, se ben strutturata, si risolve proprio in una particolare modalità di liquidazione di tutti i soci (la vendita diretta della società anziché del suo contenuto).
L’ipotesi nella quale la società sia già in liquidazione.
L’ammissibilità di una modifica dello statuto assunta in questi termini è più evidente quando la società sia già in stato di liquidazione.
Avendo la società già deliberato lo scioglimento anticipato, ovvero il disinvestimento collettivo, ciascun socio è ora nella condizione di mera attesa della fine delle operazioni liquidative del patrimonio.
Chiaro è che diventa, adesso, di interesse sociale, una modalità di liquidazione del patrimonio che permetta un exit più redditizio per il socio, ovvero la massimizzazione dell’investimento, compito virtuoso di ciascun liquidatore.
Se è obbiettivo di un terzo, per ragioni di risparmio anche fiscale, acquisire il controllo totalitario della società, anziché il suo contenuto, la clausola di co-vendita si concreta in una modalità di realizzazione di tale interesse.
Tant’è che il socio non ha alcun diritto, prima dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione, sul patrimonio della società, che, in questa particolare fase, il liquidatore ha il solo e preciso compito di alienare anche se uno dei soci fosse contrario.
Inoltre, a ben vedere, la co-vendita in questa ipotesi assicura, oltre che una più rapida realizzazione dello scopo liquidativo, anche la possibilità per i soci di essere liquidati prima dei creditori sociali, perché anteriormente all’approvazione del bilancio finale di liquidazione.
Nessun pregiudizio può, comunque, derivare ai creditori sociali perché il patrimonio della società non muta, ma cambia solo la persona dei soci, i quali si giovano della responsabilità limitata al conferimento.
Conclusioni
Tirando brevemente le somme della questione oggetto del presente parere, è possibile affermare quanto segue:
- Lo statuto è modificabile, per inserimento di una clausola di covendita, a maggioranza, se la nuova disposizione statutaria si risolva in una modalità di disinvestimento comune e preveda il rispetto della parità di trattamento fra i soci;
- La parità di trattamento è garantita dalla previsione di una vendita contestuale delle quote ad un terzo e dalla ripartizione proporzionale del corrispettivo;
- La clausola statutaria deve comunque prevedere un’equa valorizzazione della quota, ovvero almeno corrispondente al valore di liquidazione per recesso;
- Quando il capitale sociale non vede una partecipazione di maggioranza radicata in un unico soggetto, ma è suddiviso fra più soci in proporzioni tendenzialmente uguali, non potrà mai parlarsi di abuso della maggioranza e non correttezza nell’esecuzione del contratto, poiché tutti i soci, al momento dell’inserimento della clausola, si trovano nella stessa condizione;
- In quest’ultimo caso, essendo la maggioranza non formata da un unico soggetto, occorrerà che, ai fini di un corretto funzionamento, la clausola preveda i criteri e le modalità di scelta fra le offerte di acquisto dell’intero capitale.
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